Oggi alle 16 l’Assemblea nazionale francese decide se sfiduciare il primo ministro Michel Barnier, contro il quale hanno presentato mozioni sia la destra di Le Pen E Bardella, sia la sinistra. Il governo cadrebbe sul bilancio del welfare, anche se poi, spiega Francesco De Remigis, giornalista già corrispondente da Parigi, la realtà è che entrambe le opposizioni vogliono far pagare a Macron la decisione di aver nominato un esecutivo senza aver tenuto conto dei risultati elettorali. Se la sfiducia dovesse passare, ma ci sarebbero ancora trattative fra Barnier e Le Pen, Macron nominerà un altro capo di governo, senza dimettersi, come invece auspicano, secondo i sondaggi, sei francesi su dieci.
Il governo Barnier è vicino alla sfiducia: è il segnale di una crisi sistemica per la politica francese?
Sì, ma del sistema messo in campo da Macron in questi sette anni, in cui si è preso sempre più poteri come Capo dello Stato, indebolendo contemporaneamente i partiti. La sua intenzione era quella di creare un grande centro pigliatutto che contenesse le migliori istanze e le migliori menti del Paese, escludendo estrema destra ed estrema sinistra. Un progetto che, tuttavia, si è rivelato fallimentare.
Cosa di questo bilancio di previdenza sociale non va alla destra e alla sinistra?
Gli aspetti sono molti, ma c’è un gioco delle parti che va oltre le singole rivendicazioni. La sfiducia è l’unica occasione per vedere un voto comune di destra e sinistra. Per il resto, sono in disaccordo su tutto. L’obiettivo primario di Barnier era quello di tagliare i costi, ridurre le spese dello Stato e possibilmente evitare una rivolta sociale, ascoltando anche le opposizioni. Ma lui è un uomo di centrodestra che si è trovato ad affrontare problemi di bilancio, con un debito che negli anni di Macron è schizzato alle stelle, arrivando a un punto di non ritorno che si potrebbe superare solo con una manovra forte.
Cosa non è piaciuto alla Le Pen?
Secondo lei, il governo doveva partire dal taglio degli aiuti agli immigrati clandestini e ai sans papier, che hanno spese mediche gratuite e assistenza di ogni genere. Una voce da un miliardo e 600 milioni che Le Pen aveva chiesto di togliere, valutando successivamente cosa reintrodurre. Barnier ha cercato di venirle incontro, ma ha tolto solo 200 milioni, tagliando però contemporaneamente alcuni rimborsi per le cure ai cittadini francesi e senza garantire un adeguamento delle pensioni, come chiesto da RN. Il primo ministro ha tentato anche di dialogare sul costo delle bollette elettriche, trovando su input lepenisti 3 miliardi per evitare i rincari. A un certo punto, però, non si è parlato più di contenuti. Il capo del governo ha accusato Le Pen di alzare sempre la posta e di non voler arrivare a una sintesi, sentendosi rispondere che in realtà le proposte di RN non sono state accolte. Un gioco politico: il governo aveva annunciato provvedimenti da qui a cinque anni, tra i quali una nuova legge sull’immigrazione vicina alle istanze della destra, subito da gennaio.
Come va interpretata, quindi, la trattativa sul welfare?
Mi è sembrato che ci sia stato un gioco al massacro per punire definitivamente Macron, cercando di far cadere un governo nato in laboratorio questa estate. Ma vedremo se il voto sarà davvero come annunciato.
La sinistra, invece, su cosa critica Barnier?
Accusa Barnier di aver dato troppo spago alla destra lepenista, per esempio sugli aiuti sanitari ai clandestini. Anche qui non si parla tanto di contenuti e singole voci: il dibattito è politicizzato, guidato dalla volontà di staccare la spina a un governo guidato dal rappresentante di una forza politica che è arrivata quarta alle elezioni, mentre il Paese alle urne aveva premiato RN come primo partito e il fronte di sinistra come primo gruppo parlamentare. Qui, tra l’altro, non si sta parlando della manovra, ma del welfare, che ne è solo una parte.
È scontata la sfiducia?
No. Vedo un dialogo sottotraccia tra gli emissari di Barnier e i lepenisti. Ieri il premier è andato in tv e ha detto di sperare in un “riflesso di responsabilità che a suo dire resta possibile”. Le Pen ha stigmatizzato gli insulti arrivati dall’estrema sinistra nei confronti del suo partito. Bardella ha confermato la volontà di sfiducia comune salvo miracoli. Al 90% la mozione passerà, ma non si può escludere il contrario. Ce n’è una della sinistra e un’altra del partito della Le Pen.
Con la sfiducia Macron potrebbe dimettersi?
Le sue dimissioni sono altamente improbabili. Già da giorni ha individuato alcuni profili per sostituire Barnier. Se dovesse cadere il governo, entro dieci giorni ci dovrebbe essere un nuovo primo ministro. Il fine settimana per Macron è campale: ci sarà l’inaugurazione di Notre Dame, che doveva essere la chiosa al suo capolavoro mediatico e politico, un simbolo di unità della Francia dopo una tragedia. Parteciperà anche Trump.
Il nuovo governo sarebbe simile a quello di Barnier?
Ci sono due nomi in campo: quello del centrista Bayrou e del ministro della Difesa Lecornu, macroniani non invisi alla Le Pen. L’altra opzione è di ricorrere a un nome più tecnico, perfino Christine Lagarde o Thierry Breton. Macron ci ha abituato a delle sorprese, ma deve tenere conto anche di altri elementi. Più di un francese su due si è detto favorevole alla caduta dell’attuale governo. Inoltre, sei su dieci sono favorevoli alle dimissioni del presidente, che però non è obbligato a rassegnarle. Ieri, dall’Arabia Saudita, lo stesso Macron ha bollato l’ipotesi come pura “finzione politica”, ribadendo di voler onorare fino all’ultimo minuto di mandato la fiducia avuta dai francesi.
(Paolo Rossetti)
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