Ieri è stata festa nazionale in Francia. Ricorreva il 14 luglio, il giorno della Presa della Bastiglia, quando di fatto cominciò il primo atto della “grande rivoluzione” del 1789, con i francesi che occupavano la Bastiglia sospinti dalle parole incendiarie di Camille Desmoulins.

Secondo tradizione, il 14 luglio a Parigi, in varie parti della città, si festeggia e si balla nel ricordo di quel giorno. Giorgio Amendola, esule a Parigi nel 1930, conobbe sua moglie Germaine Lecocq proprio a un ballo popolare per strada il 14 luglio di quell’anno e non dimenticò mai quel momento di festa fino allo stesso giorno della morte di entrambi, il 5 giugno 1980 a Roma.



Il 14 luglio suscita grandi ricordi in tutti gli europei e quest’anno sembra assumere un carattere ancora più particolare. Ieri è arrivata a Parigi la fiaccola olimpica, che, dopo aver girato la Francia ritornerà a Parigi domenica 26, giorno di inizio delle Olimpiadi francesi. Dovrebbe essere una giornata di grande festa, ancora più grande di quella della ricorrenza. Ma, paradossalmente, la Francia del presidente Emmanuel Macron sta passando questo 14 luglio nel mezzo di una tempesta politica difficilissima, complicata e, al momento, senza una reale possibilità di soluzione.



Alla fine Macron sembra interpretare il destino di una potenza come la Francia, dove spesso tutto si risolve con continui colpi di scena. Macron è uscito con le ossa rotte dalle elezioni europee, con meno della metà dei voti dell’estrema destra di Marine Le Pen e con la metà dei voti del Fronte popolare, costituito dalla sinistra della France Insoumise di Mélenchon, dai socialisti di Glucksmann, oltre che dai verdi e da pochi comunisti.

A questo punto, indebolito da anni di politica impopolare, Macron ha fatto un grande azzardo: ha sciolto l’Assemblea nazionale, il perno delle istituzioni legislative francesi e ha indetto nuove elezioni, mettendo in campo, per il sistema elettorale francese, nel secondo turno dei ballottaggi, una desistenza contro la destra lepeninista, che ha riequilibrato solo in parte la situazione.



Il Fronte popolare della sinistra ha ottenuto 182 voti, i centristi di Macron ne hanno presi 168. la destra di Marine Le Pen se ne è aggiudicata 143. Tre blocchi, con i primi due piuttosto eterogenei e nessuna coalizione che raggiunga il quorum della maggioranza di 289 seggi. A questo punto come si può fare un governo secondo la tradizione francese?

Ci sono ovviamente colloqui, tentativi di accordo, ma anche dure prese di posizione, con Mélenchon che attacca più Macron che la Le Pen. Quindi nonostante il tentativo di Macron di prendere tempo ed erodere le due ali estremiste dell’Assemblea per dividerle in parte, cercando di fare in questo modo una maggioranza sostenibile, l’impresa sembra sempre più difficile.

Non sta nello spirito politico francese avere una Assemblea nazionale che non abbia una maggioranza chiara, magari anche diversa dalle posizioni del presidente della Repubblica, magari con una coabitazione diversa tra Eliseo e Matignon, ma comunque con un’Assemblea che non governa con coalizioni improvvisate e poco chiare e nemmeno ricorrendo a quello a cui siamo abituati noi italiani: i cosiddetti governi tecnici.

In una simile situazione come questa, proprio vicina al 14 luglio, in Francia si continuano a fare riferimenti storici poco edificanti. Si ricorda il grande storico François Furet che ha sempre ricordato che nel giro di pochi anni le rivoluzioni francesi furono addirittura tre, perché non si riusciva a trovare una soluzione equilibrata. Terminò tutto con il Consolato e poi con l’Impero.

C’è pure chi, facendo gli scongiuri, ricorda che Desmoulins, dopo essere passato per l’eroe della Basitglia, finì ghigliottinato nell’aprile del 1794 insieme a Georges Danton, che precedette di un paio di mesi l’esecuzione di Robespierre e di Saint-Just. Insomma, ricordi antichi non troppo allegri in un clima concitato.

C’è anche chi si sofferma solo sulla mossa azzardata di Macron, quella di sciogliere l’Assemblea e andare a nuove elezioni, che qualcuno ha paragonato alle grandi scommessi di Napoleone. Ad Austerlitz, Napoleone era in difficoltà, ma poi vinse la sua più grande battaglia. A Waterloo era ancora in difficoltà, ma in quell’occasione perse definitivamente. Al proposito si è ricordata anche la scommessa dell’economista David Ricardo, che scommise tutto sulla sconfitta di Napoleone a Waterloo, divenne miliardario e si ritirò in campagna a scrivere.

Ma a parte i ricordi, le strane similitudini, ci sono coincidenze troppo delicate in questo momento. Giovedì si riunisce l’Assemblea nazionale francese per eleggere il presidente, che ha un grande potere, ma si riunisce anche l’europarlamento per confermare la maggioranza di Ursula Von der Leyen. Una serie di avvenimenti che si incrociano e possono intralciare le soluzioni possibili. Un Macron orfano di un governo credibile, che potere contrattuale può ancora avere nel vecchio asse franco-tedesco?

Quanto può attendete Macron, dopo la riunione dell’Assemblea francese, un governo credibile ? E di fronte a questa situazione, dove i movimenti spesso si contraddicono, dove Jean-Luc Mélenchon scalpita e forse condiziona anche i socialisti di Glucksmann, che scelta può fare realisticamente Macron ?

L’impressione è che in una simile situazione geopolitica internazionale, la Francia ripeta delle contraddizioni che ormai caratterizzano l’ordine mondiale. L’ordine può andare in crisi, ma non deve sfociare in rottura.

Questo vale anche per la Francia. Altrimenti, dopo un fallimento e tre anni incolori che restano a Macron, la stessa Costituzione francese può essere destinata a un profondo cambiamento e diventare all’improvviso la “Sesta Repubblica”.

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