Macron di fronte alla grana Mélenchon. Battuta la Le Pen al secondo turno, il presidente sfoglia la margherita per vedere chi può sostenere il nuovo governo alla luce della vittoria elettorale della sinistra che, unita nel Front populaire, si è avvantaggiata della politica di desistenza decisa da sinistra e centristi per battere il Rassemblement National.



Le alternative, spiega Gaetano Quagliariello, direttore della School of Government della Luiss, sono due: un esecutivo con centristi e sinistra ma senza il leader di France Insoumise, oppure un governo tecnico che rimanga un anno prima di un altro scioglimento dell’Assemblée nationale. Una situazione politica ingarbugliata che cambia il quadro anche in vista delle presidenziali che si svolgeranno fra tre anni. Per come si è espresso l’elettorato, se si votasse in questo momento l’alternativa sarebbe tra Mélenchon e Le Pen: i centristi che fanno capo a Macron, che non potrà più presentarsi, sarebbero tagliati fuori.



Macron ha creato il fronte repubblicano per paura della Le Pen, ora ha paura di Mélenchon?

Quello che è successo era già previsto. Nella Francia della Quinta Repubblica le elezioni che contano sono quelle presidenziali e quanto sta accadendo va letto anche nella prospettiva delle prossime, che si terranno nel 2027. Penso che dopo le votazioni europee, dove Marine Le Pen ha preso il doppio dei suoi voti, Macron non poteva rimanere fermo a fare da bersaglio per i prossimi tre anni: il destino dello schieramento centrista sarebbe stato segnato. Ho dei dubbi, però, che nel suscitare desistenze così ampie ed estese al secondo turno abbia visto bene.



Poteva fare altrimenti?

Aveva due possibilità: tentare la carta del fronte repubblicano o mettere nel conto la coabitazione con un primo ministro di uno schieramento molto diverso, levando l’ipoteca al Rassemblement national, quella per cui da un po’ di tempo c’è una specie di ghigliottina sulla testa del sistema politico francese: il RN, infatti, è aumentato come suffragi ma non si è mai confrontato con il potere. Ha scelto la prima strada, non agevole e non scontata per il fatto che Mélenchon e La France Insoumise detestano Macron più del Rassemblement national: dopo il primo turno Mélenchon, nel suo discorso a caldo, non ha attaccato la Le Pen ma Macron stesso. La strada scelta dal presidente conferma uno degli elementi che ha consentito negli ultimi anni l’egemonia del centrismo e ne smentisce un altro.

Che cosa fino a questo momento aveva permesso ai centristi di guidare il gioco?

Gli elementi che hanno consentito l’egemonia del centrismo sono due: uno è stato la conferma dell’illegittimità repubblicana del RN, fattore confermato dal secondo turno elettorale. Una consultazione che non è andata male per la Le Pen, che ha avuto 10 milioni di suffragi, ma ha anche detto che è ancora lontana dal 51% necessario per vincere al secondo turno delle presidenziali. È stato smentito, invece, l’altro fattore: la divisione della sinistra. Con la sua iniziativa Macron ha legato la sinistra, facendo comprendere a Mélenchon che può esserne il leader, e che se passa al secondo turno delle presidenziali le forze che si sono presentate nel Front populaire potrebbero trovarsi dietro di lui. Questo ha suscitato un atteggiamento intransigente e ostile di Mélenchon nei confronti del presidente: in questo momento ha interesse a polarizzare il sistema.

A Macron che alternative rimangono per dare un governo alla Francia? La sinistra canta vittoria, ma in fondo l’ha ottenuta anche con i voti che le sono arrivati grazie alla desistenza. Un elemento che conta?

Sono voti di uno schieramento molto eterogeneo che va dai gollisti non ciottiani (il repubblicano Éric Ciotti si è schierato con RN, nda) fino alle posizioni della Francia Insoumise. Penso che Macron stia provando a prendere tempo per tentare di sfrangiare il Front populaire e fare un governo senza le estreme. L’alternativa è un governo tecnico.

Il presidente, quindi, pensa a un governo di centrosinistra senza Mélenchon?

Esattamente. Teniamo conto che in Francia si può anche governare per un certo periodo con un governo di minoranza, anche se una cosa è essere sostenuti da una maggioranza di 250-260 parlamentari, altro è se ci si ferma sotto la soglia dei 200: quello non sarebbe un governo ma un cadavere che cammina. Il vero rischio è che Macron abbia iniziato a segare il ramo dell’albero sul quale sta seduto: l’azzardo vero viene ora. Se riuscirà a sfrangiare la sinistra e a riattualizzare anche il secondo fattore che ha garantito l’egemonia dei moderati avrà vinto la partita, ma se tutto questo porterà a una polarizzazione del sistema e a un secondo turno delle presidenziali con Mélenchon da una parte e la Le Pen dall’altra, Macron sarà il grande sconfitto.

Non va dimenticato che il Front populaire è anche un cartello elettorale: c’è la possibilità che l’unità ritrovata nelle urne si sfaldi e che il presidente riesca a isolare Mélenchon?

Il Front populaire è sicuramente un cartello elettorale. Comunque, proprio perché quello che conta sono le elezioni presidenziali, non è facile per i partiti aderire a un governo debole. I dubbi dei socialisti sono dovuti a questo: hanno iniziato a tirare fuori la testa e hanno ottenuto un buon risultato, ora temono di mettersi in un governo che non ha la forza per fronteggiare una situazione sociale e politica difficile. I partiti francesi, poi, sono molto deboli e attraversati al loro interno da personalismi. Bisognerà vedere se i gruppi attuali si confermeranno o se ci saranno dei cambiamenti nell’Assemblea nazionale, se ci saranno deputati che prenderanno congedo dai gruppi nei quali sono stati eletti.

La possibilità che una parte della sinistra entri in un governo allora è reale?

Esiste ma non è facile. Credo che sia uno dei motivi per cui il presidente per ora allunga il brodo.

Il governo tecnico con chi lo farebbe?

Deve comunque avere una maggioranza parlamentare. Il problema che Macron ha davanti è di trovare una via di uscita, perché almeno nei prossimi undici mesi non può sciogliere il parlamento. In Francia non c’è bisogno di un voto di fiducia per cominciare a governare, ma occorre avere almeno una consistente base iniziale.

Macron comunque dovrà attingere sempre alla stessa maggioranza?

Certo, non credo che l’atteggiamento di Mélenchon cambi. E il governo tecnico, se lo farà, sarà solo per un anno.

(Paolo Rossetti)

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