Il Front populaire spaccato, incapace di fare un nome come possibile premier che sia espressione della vittoria della sinistra. La France Insoumise, il partito di Mélenchon, dilaniata dagli scontri interni e dalle accuse al leader di essere settario. E Macron che spera di riprendere in mano il pallino della politica francese proponendo una maggioranza Ursula, con i suoi centristi e una parte di gollisti e socialisti. Il nuovo governo francese è ancora un rebus e, per riuscire a formarlo, vista la complessità della situazione, potrebbero volerci settimane. L’iniziativa è in mano ai parlamentari, anche quel Gabriel Attal il cui governo si è dimesso e che ora è capogruppo proprio dei macroniani. Tocca ai rappresentanti eletti in Assemblée nationale definire i punti comuni a cui dovrà attenersi una nuova maggioranza politica, ma non sarà per niente facile.
Sullo sfondo, racconta Francesco De Remigis, giornalista, per anni corrispondente da Parigi, c’è sempre la possibilità di un governo tecnico, che sancirebbe una sconfitta dei partiti che hanno chiamato a raccolta l’elettorato per battere il RN di Jordan Bardella e Marine Le Pen. E fa capolino anche un’altra possibilità, tutta da valutare dal punto di vista della sua legittimità costituzionale: che davanti all’incapacità di formare un governo anche Macron debba dimettersi, riaprendo pure la corsa alla presidenza.
Le dimissioni del Governo Attal sono solo una formalità o segnano comunque una nuova fase?
Più che nuova, inedita. Lui, Attal, premier ormai solo per gli affari correnti, ha preferito intraprendere la via parlamentare, per trovare una soluzione alla crisi francese. È stato eletto capo del gruppo dei macroniani, anche se non tutti lo hanno votato. Ha dato un segnale forte di affrancamento dal Presidente della Repubblica. Se torna centrale il ruolo del Parlamento è grazie alla sua scelta di dimettersi. Nei sette anni di Macron i deputati non hanno mai dato segnali di protagonismo come oggi. Da collaboratori, alcuni sono già diventati quasi dei competitor. Lui in primis.
A che punto sono le trattative per il nuovo governo?
La vera partita inizia oggi, con le trattative per l’elezione delle figure chiave in Assemblée: il presidente della Camera, le vicepresidenze, ecc. Da questa due giorni si capirà quanto i partiti abbiano imparato a parlarsi e ad accordarsi, e da qui si può aprire una strada per quello che alcuni macroniani chiamano un patto di legislatura fra deputati in grado forse di convergere su alcuni punti per dare risposte ai francesi. Serviranno settimane, non giorni, per un accordo strutturato di governo, se ce ne sarà uno.
Verso quale direzione si sta muovendo Macron?
Macron credo abbia in testa l’ipotesi di creare una sorta di maggioranza Ursula a Parigi, quella che già esiste sul piano europeo. Se diventasse realtà in Francia, con un patto di legislatura fra partiti o, meglio, deputati che vanno da un pezzo dei socialisti fino a una parte di neogollisti, passando per il “suo” centro liberale animato da almeno tre componenti, quest’operazione andrebbe in un certo senso a rinforzare il presidente, dopo la débâcle. Anche a Bruxelles. Indebolendo la voce dei “patrioti” lepenisti. Tutto da vedere.
Il Front populaire si spaccherà?
È già spaccato, tanto che la leader verde Tondelier è andata in Tv a chiedere scusa ai francesi. Ha detto “la gioia si è trasformata in vergogna”. Questo dopo le infinite trattative, tuttora inconcludenti, per dare a Macron un nome comune come potenziale premier. Ieri perfino i due quotidiani più vicini al Front, Libération e L’Humanité, deploravano lo spettacolo offerto dalle sinistre. Il primo dava ai leader del fronte degli idioti, il secondo chiedeva loro a brutto muso di smetterla di “giocare”.
Cosa chiede il Front populaire a Macron e come si distinguono i vari partiti al suo interno?
Chiedono, secondo me anche a giusto titolo, visto il successo, di essere la prima scelta per governare. Ma non sono riusciti a mettersi d’accordo su un nome comune dopo dieci giorni di tira e molla. Ci sono i comunisti, i verdi, i socialisti e naturalmente gli eletti sotto le insegne della France Insoumise di Mélenchon, quella che viene chiamata estrema sinistra, che oggi è alle prese con notevoli problemi di tenuta interna; primo partito per numero di eletti dentro l’alleanza, ma con forti divisioni interne e dissidenti che da neodeputati hanno già sbattuto la porta lasciando Mélenchon accusato di “settarismo”. E di fatto di non voler fare un accordo di governo, quasi dicendo che vuol sabotare un governo d’area, a meno che non sia lui a decidere tutto.
La Le Pen come sta affrontando questo momento? Resta semplicemente ai margini?
Non direi, a giusto titolo ha rivendicato nelle ultime ore di essere comunque il primo partito fra tutti per voti ed eletti, ed è aperta al dialogo con tutti, riconoscendo che anche la sinistra deve avere incarichi in aula visto il risultato. Il fronte popolare della gauche è infatti il primo gruppo, a oggi non sappiamo però se sarà compatto in aula, nei voti e sui banchi. Potrebbero andare ognuno per sé sotto le rispettive insegne in Assemblée, visti i continui stress test sul nome del premier, che non riescono a trovare.
Quali sono i nomi che si fanno per un nuovo governo? Chi potrebbe guidarlo?
Nelle ultime ore si parla molto di Xavier Bertrand, ex ministro di Sarkozy. Ma in questa nebulosa è davvero prematuro fare ipotesi, e credo che pure lui sarà bocciato, semmai sarà proposto ufficialmente da qualcuno.
E nel caso fosse un governo tecnico a chi potrebbe essere affidato e con quali obiettivi?
C’è necessariamente un anno da trascorrere con questa nuova Assemblea nazionale prima che il presidente possa di nuovo sciogliere la Camera e tornare a elezioni politiche. Dunque, se i partiti non troveranno un piano di governo comune, potrebbe anche essere Macron a intervenire in direzione di un tecnico. Ma a quel punto non solo alcuni partiti insorgerebbero, da Le Pen a Mélenchon, ma pure migliaia di cittadini. Si sono sentiti dire “andiamo alle urne per un chiarimento” politico e poi si vira verso un tecnico. Sarebbe devastante per l’immagine della democrazia francese e anche per quella del presidente. C’è però un dibattito aperto, che non a caso ieri Le Pen ha citato in Tv come ipotesi, in caso di mancata quadra sul governo.
Quale?
Se entro settembre Macron non trova una risposta alla crisi, non si possono del tutto escludere le sue dimissioni, dato che l’azzardo è stato suo. E qui entrano in gioco i costituzionalisti. C’è una frangia convinta che, in caso di dimissioni, si dovrebbe andare a votare solo per il Presidente della Repubblica; un’altra spiega invece che a quel punto, visto che il presidente che ha sciolto il Parlamento e convocato nuove elezioni si dimette, anche l’Assemblée potrebbe essere nuovamente sottoposta a rinnovo, con elezioni “politiche” e presidenziali insieme. Questa è la linea Le Pen.
I francesi in questo bailamme cosa pensano?
Mi sembrano piuttosto rassegnati dopo lo spaesamento iniziale. Un francese su due, secondo l’istituto Elabe, ritiene che non sia un problema non avere un governo fino al rientro a scuola, e cioè scavallare le Olimpiadi con la gestione degli affari correnti e intanto lavorare a una maggioranza larga che sottoscriva un patto di legislatura. Ma poi, se la politica non dà segnali di soluzione, potrebbero farsi sentire con la consueta forza delle piazze. I sindacati hanno già iniziato.
(Paolo Rossetti)
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