Un presidente sotto schiaffo, un Parlamento completamente ridisegnato, un paese a rischio governabilità. Così si presenta la Francia dopo il secondo turno delle elezioni legislative. Emmanuel Macron con la sua coalizione Ensemble! è lontanissimo dalla maggioranza assoluta necessaria per governare: nel primo mandato aveva 341 deputati, oggi 245, ben lontano dai 289 necessari. Successo importante per la Nupes di Jean-Luc Mélenchon, con 142 seggi, mentre Marine Le Pen, con il Rassemblement National, decuplica i suoi seggi: dagli attuali 8 sale a 89 seggi e per la prima volta riuscirà a formare un gruppo parlamentare. Scende, invece, il partito dei Républicains, la destra tradizionale, a 60 seggi circa. Cosa succederà adesso? Le opposizioni renderanno la vita impossibile al governo Borne? E cosa può fare Macron per uscire da questo tunnel? Ne abbiamo parlato con Francesco De Remigis, inviato a Parigi de Il Giornale.
I risultati del secondo turno, senza precedenti in questa Quinta Repubblica, sollevano senza dubbio la domanda: la Francia potrebbe diventare ingovernabile?
È così, le cifre parlano chiaro. Macron allo stato attuale non è in grado di governare, almeno non come vorrebbe. L’Assemblea nazionale è stata rimodellata a immagine e somiglianza delle opposizioni e la fisionomia della maggioranza presidenziale, solo relativa, sarà costretta a cedere a compromessi. Una novità per i deputati macroniani.
Cosa succederà adesso?
Macron ha ricevuto all’Eliseo la premier Borne, l’alleato ed ex premier Philippe e il centrista Bayrou. Ma i rapporti di forza dati dai risultati definitivi del ministero dell’Interno lasciano ben pochi spazi di manovra con le opposizioni. In ultima istanza, potrebbe anche sciogliere l’Assemblea nazionale, la Costituzione lo permette, secondo l’articolo 12.
Ci vorrà “molta fantasia” per agire in questa “situazione senza precedenti”, ha ammesso il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire. E’ possibile che si vada verso una coabitazione, come già negli anni Ottanta, quando il socialista François Mitterrand, dopo la disfatta del suo partito alle legislative, nominò primo ministro il gollista Chirac?
La coabitazione non appartiene al Dna del mandato di Macron. Dovrà imparare, e in fretta, l’arte del negoziato. Ma ci ha messo settimane a individuare una figura femminile che soddisfacesse i requisiti di capofila di un centro allargato, e in calendario il 5 luglio c’è il discorso di politica generale della premier. Non credo che fino a quella data licenzierà la sua interlocutrice numero uno.
Mélenchon potrebbe rivendicare il ruolo di premier?
No, il tribuno della gauche mi è parso piuttosto deluso dal risultato, che rispetto alle proiezioni della notte elettorale gli ha tolto qualcosa. La sua alleanza multicolore è prima forza di opposizione, ma non primo partito di opposizione.
Dovesse essere confermata come primo ministro, la Borne come farà a governare?
Almeno tre scenari: o tentare la sorte, chiedendo alle opposizioni di votare caso per caso, magari accogliendo alcuni emendamenti degli altri gruppi, per esempio sul potere d’acquisto; oppure convincere una parte dei neogollisti, che però sono divisi sulla linea da seguire, a entrare nell’alleanza di governo; o ancora, stringere un patto col diavolo, e cioè con i lepenisti, che già rivendicano la presidenza della commissione Finanze.
Sarà costretta a continui ed estenuanti compromessi?
Inevitabile, con questa Assemblea nazionale. Ai macroniani mancano 44 deputati per governare serenamente.
Sono a rischio le riforme promesse?
Quella sulle pensioni credo di sì. Almeno sull’innalzamento dell’età a 65 anni il governo dovrà fare due passi indietro.
Ora la coalizione di Macron è tra il martello e l’incudine di due potenti gruppi – la gauche di Mélenchon e i nazionalisti di Le Pen – che faranno un’opposizione parlamentare durissima. Che tipo di opposizione sarà?
Dipende molto dall’alleanza di sinistra, pronta già a dividersi all’interno di un inter-gruppo parlamentare. Ogni partito che costituisce la Nupes potrebbe comportarsi diversamente. Poi ci sono le mozioni di sfiducia, gli emendamenti. Se al primo tornante del secondo mandato la macchina del presidente già sbanda, difficile arrivare al traguardo senza incidenti.
Nupes e Rassemblement National troveranno punti d’intesa per mettere sotto Macron? E cosa può fare Macron per uscire da questa tenaglia?
Anzitutto prendere la parola, visto che ha taciuto fin troppo a lungo. Poi, un rimpasto di governo. E magari rilanciare lo strumento del referendum su alcuni temi, quelli ecologisti in testa, cari anche alle opposizioni.
Macron aveva esortato i francesi a dargli “una maggioranza forte e chiara”, per una “Francia più europea”, invece si ritrova indebolito a soli due mesi dalla sua rielezione a presidente. Dove ha sbagliato?
Non ha fatto una gran campagna elettorale, i suoi hanno dato indicazioni di voto fluide, altalenanti. Non è scattata la barriera anti-Front National, che oggi si chiama Rassemblement national, il progetto elettorale con cui Marine Le Pen ha aperto anche ad altre forze della destra sovranista. Ed è stato un successo per i lepenisti: 89 deputati e soldi per un partito che sul piano economico è stato finora dipendente dai prestiti da banche straniere.
Che cosa non hanno perdonato i francesi al presidente?
Forse i tre mesi di inazione per rimettere a posto il carello della spesa e un atteggiamento di superiorità istituzionale rispetto a un’elezione legislativa che, in tutta risposta, ha invece rimesso al centro della vita politica il Parlamento e i rappresentanti dei cittadini.
Già nei prossimi giorni Macron sarà impegnato in un tour de force di obblighi internazionali: Consiglio europeo, G7, vertice Nato. E sullo sfondo restano sempre le questioni dell’economia e della guerra in Ucraina. La sconfitta alle legislative che effetto avrà sul ruolo internazionale di Macron e della Francia?
C’è chi a Bruxelles è preoccupato. Ma la Francia ha ora l’occasione d’imparare un nuovo modo di fare politica, stringendo intese apparentemente contro natura. Non a caso a Parigi guardano molto sia alla tradizione tedesca, sia alla tendenza italiana, per imparare in fretta l’arte del compromesso.
(Marco Tedesco)
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