Da sabato scorso Gazprom ha interrotto le forniture all’austriaca Omv dopo che quest’ultima, vittoriosa in un arbitrato, ha deciso di trattenere 230 milioni di euro dai pagamenti al colosso russo. Da metà della scorsa settimana, quando era stata diffusa la notizia sull’esito dell’arbitrato, il Ttf di Amsterdam si è stabilizzato sopra i 45 euro/MWh con punte sopra i 47. Come ricorda Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, «il gas russo continua ad arrivare via Ucraina in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Serbia e Italia».



Dunque, non c’è stato un blocco totale delle forniture di gas russo all’Europa.

No, il flusso prosegue, anche se è molto ridotto rispetto al passato. Basti pensare che l’anno scorso sono transitati dall’Ucraina circa 15 miliardi di metri cubi di gas russo, una quantità pari all’8% di quella che si era registrata prima del Covid. Il vero problema è capire cosa accadrà dal 1° gennaio 2025.



In che senso?

L’accordo per il transito di gas russo attraverso l’Ucraina è regolato da un accordo che scade alla fine di quest’anno. Kiev non intende rinnovarlo e, quindi, potrebbero non arrivare quelle quantità che, per quanto minime, sono importanti per alcuni Paesi dell’Ue meno indipendenti da Gazprom.

Per l’Italia questo stop sarebbe un problema?

Verosimilmente no. Anche perché oggi la quasi totalità del gas russo in ingresso da Tarvisio viene di fatto girato e venduto agli altri Paesi europei, tra cui l’Austria.

Come mai il Ttf è salito del 10% circa la scorsa settimana se comunque l’interruzione della fornitura di gas russo all’Austria non comporta particolari problemi?



Come accade in tutti i mercati di commodity, i prezzi vengono fissati al margine e basta quindi un piccolo squilibrio per generare un grande cambiamento. A influenzare l’andamento del Ttf non è stata solo la notizia proveniente dall’Austria, ma anche il fatto che in queste settimane la domanda di gas in Europa è piuttosto forte sia per il freddo, sia perché la produzione di energia elettrica da eolico è ferma in molti Paesi, mancando vento dal Mare del Nord. È una situazione momentanea, ma che riflette un rischio che può condizionare tutto l’inverno.

Quale rischio?

Il rischio che l’inverno possa essere particolarmente rigido, che possano interrompersi del tutto le forniture russe dal 1° gennaio e che, mancando la produzione di elettricità da rinnovabili si debba fare più ricorso alle centrali a gas. Basta quindi poco per creare un’aspettativa al rialzo sui mercati. Certamente se fossimo a febbraio, e non alle soglie dell’inverno, il quadro sarebbe diverso.

Il prezzo del gas potrebbe, quindi, salire ancora…

Sì, anche se ovviamente c’è da augurarsi, soprattutto pensando alle bollette, che scenda. I precedenti inverni miti, il cambiamento climatico, la bassa attività economica e manifatturiera europea sono tutti elementi che fanno pensare che non ci saranno i picchi elevati del 2022. Ma non è tutto così semplice, non è detto che tutto vada liscio.

Per l’Europa resta comunque importante il GNL proveniente dagli Stati Uniti. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca cambierà qualcosa su questo versante?

Il Presidente eletto è a favore delle esportazioni di GNL e certamente non ci sarà alcun ripensamento sui livelli produttivi dell’industria oil and gas. Anzi, probabilmente tali livelli verranno aumentati. Tuttavia, gli effetti non saranno immediati e, soprattutto, non saranno visibili quest’inverno dal momento che Trump si insedierà a gennaio. Resta comunque il fatto che mentre in Europa il prezzo del gas si aggira intorno ai 45 euro/MWh, negli stati Uniti è sotto i 10 dollari/MWh: è una differenza che pesa sull’economia Ue e che spinge quella statunitense a esportare GNL.

(Lorenzo Torrisi)

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