Donald Trump spinge per la liberazione degli ostaggi e il ministro della Difesa israeliano Katz si dice ottimista. La realtà dei fatti, però, osserva Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, è che niente si sta muovendo nella direzione di un loro ritorno a casa. Il nuovo presidente è talmente imprevedibile che potrebbe anche arrivare a dire a Netanyahu di far nascere lo Stato palestinese (anche se l’attuale governo israeliano non potrebbe mai accettare una soluzione del genere) oppure cercare un accordo con l’Iran sul nucleare. Nel frattempo, comunque, i coloni israeliani hanno già effettuato una serie di sopralluoghi a nord di Gaza per progettare come costruire nuovi insediamenti in quei territori. Per quanto riguarda il Libano, invece, si ripetono violazioni della tregua, soprattutto da parte di Israele, anche se per ora l’accordo tiene. Perché duri, Hezbollah dovrà ritirarsi dalle sue postazioni nel sud del Libano; d’altra parte l’Iran non può più sostenerlo come prima e, se decidesse di resistere, l’IDF ricomincerebbe le sue operazioni militari.
Trump ha minacciato di “scatenare l’inferno” se prima del 20 gennaio, quando si insedierà, non verranno liberati gli ostaggi catturati da Hamas. È per questo che ora sembra esserci qualche possibilità di riportarli a casa?
Trump non è diventato il re taumaturgo di tutti i problemi del mondo. Otto anni fa, quando ha vinto le elezioni, non aveva una squadra pronta, si è dovuto affidare a quella che chiamava la “palude di Washington”, al Dipartimento di Stato, a quello della Difesa. Adesso la squadra l’ha preparata e, anche se non riesce a far passare certi personaggi, li sostituisce comunque con suoi fedelissimi. In merito alla politica estera, quindi, potrebbe anche decidere che Israele debba porre fine alla guerra di cui è protagonista da decenni.
Più facile a dirsi che a farsi.
Certo, se imponesse a Netanyahu una soluzione della questione palestinese con i due Stati, cadrebbe il governo israeliano. Quindi può fare miracoli fino a un certo punto. È comunque una variabile che oggi nessuno può valutare. Come incontrò il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, oggi potrebbe decidere di andare a parlare con gli iraniani per raggiungere un accordo sul nucleare, invece che permettere a Netanyahu di bombardarli.
Ma che inferno può scatenare?
Sono le sue battute. Un conto è quello che dice e un conto è quello che farà. L’unico inferno che può scatenare è dire a Netanyahu: “Basta! Fate in modo che nasca lo Stato palestinese”.
Il ministro israeliano alla Difesa Israel Katz si è detto ottimista sulla risoluzione del problema ostaggi. Significa che stavolta ci sono davvero i presupposti per la loro liberazione?
Anche il suo predecessore Yoav Gallant aveva fatto dichiarazioni del genere ed era un fautore dell’accordo per riportare a casa le persone rapite da Hamas. Io non ci credo ancora. Hamas è in difficoltà e l’unica sua risorsa sono gli ostaggi; se li libera, è finito. A meno che Israele non liberi i prigionieri palestinesi che Hamas vorrebbe fossero scarcerati. Tipo Marwan Barghouti, che potrebbe diventare il vero leader politico dei palestinesi. In questo momento è detenuto con quattro ergastoli inventati dagli israeliani: sanno che potrebbe essere una sorta di “Mandela palestinese”, anche se si tratta di situazioni e personaggi diversi. Hamas, per raggiungere un’intesa, vorrebbe che gli israeliani si ritirassero da Gaza, il che è impensabile.
Anzi, gli israeliani hanno in mente tutt’altro. Giusto?
Netanyahu e Katz, estremisti che in questo governo appaiono moderati, devono tenere a bada i loro estremisti, Smotrich e Ben Gvir. I coloni, intanto, hanno già realizzato una decina di sopralluoghi nel nord di Gaza perché vogliono occuparlo ricostruendo gli insediamenti che c’erano prima del 2005. Ne hanno fatti in continuazione entrando nel territorio scortati dall’esercito.
Intanto Fatah e Hamas hanno firmato un patto per il dopoguerra a Gaza. L’ANP batte un colpo?
L’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen è scomparsa dalla scena per più di un anno. Per la prima volta ha deciso di accordarsi con Hamas per progettare il futuro. Una situazione che Netanyahu respinge totalmente: se accettasse, cadrebbe il governo. Se si andasse alle elezioni, penso che gli estremisti aumenterebbero il loro consenso, non al punto di formare il governo, ma in modo da renderli ancora più protagonisti della scena israeliana.
Alla fine il vero ostacolo alla liberazione degli ostaggi più che Netanyahu sono gli esponenti della destra religiosa del suo governo?
Se Hamas liberasse gli ostaggi, Netanyahu e il Likud potrebbero anche andare alle elezioni e vincerle. Anche Hamas, però, finora è stato un ostacolo, perché pretende che Israele esca da Gaza.
Sugli ostaggi, insomma, non è cambiato niente?
Secondo me no. A meno che Hamas non si arrenda, ma mi sembra difficile.
In Libano, invece, nonostante venga violata da entrambe le parti (più da Israele), formalmente la tregua tiene. Può portare veramente alla stabilizzazione della situazione?
L’accordo, dal punto di vista politico, teoricamente è solido, anche se sancisce la totale sconfitta di Hezbollah. Però i filo-iraniani sono ancora lì. Certo, in base all’intesa devono portarsi sui confini del fiume Litani secondo la risoluzione 1701. Non è facile: il sud del Libano è pieno di installazioni militari di Hezbollah, di silos, di tunnel nascosti; gli israeliani appena ne vedono uno, visto che per 60 giorni sono ancora lì, lo distruggono.
Le situazioni da chiarire restano molte, a cominciare da chi dovrà far rispettare il cessate il fuoco e la demilitarizzazione dell’area tra i due Paesi. Cosa potrà succedere?
Per l’UNIFIL non sarà facile assumersi più responsabilità rischiando di trovarsi in mezzo al fuoco incrociato più di prima. E lo stesso vale per i 10mila uomini dell’armée libanaise, che rappresenta esattamente la divisione “settaria” del Libano: c’è la brigata sciita accanto a quella sunnita, alla drusa e alla cristiana. Gli sciiti sono quasi tutti sostenitori di Hezbollah.
Con tutte queste violazioni non è che è diventata una guerra travestita da tregua?
No. Si tratta di una situazione naturale data la realtà sul campo. Hezbollah ci ha messo 30 anni a costruire il suo sistema di difesa militare, non è facile passare da un giorno all’altro a una tregua che funzioni. Non è facile neanche ritirarsi. E nessuno può dire se ora si sta solamente preparando la rottura definitiva della tregua.
Hezbollah ha perso anche il sostegno dell’Iran? Per questo ha dovuto scendere a patti?
Gli iraniani sono molto preoccupati dell’arrivo di Trump. Sono scomparsi dalla scena militare anche siriana. Se Hezbollah continua a resistere, chi li aiuta? Rischierebbe la distruzione da parte degli israeliani.
La tregua in Libano, quindi, è dovuta anche alla debolezza iraniana?
Certamente. Lo dimostra il fatto che non hanno risposto all’ultimo attacco di Israele.
Ma cosa è determinante per la riuscita dell’accordo?
Che Hezbollah si ritiri effettivamente dietro la linea del Litani. Per loro significa anche prendere tempo, anche se poi devono essere smantellate le strutture militari. Se c’è uno Stato libanese deve essere difeso da un esercito libanese, non da una milizia che si muove autonomamente. E questo è un passo delicato. Comunque, se Hezbollah si ritira potrà essere avviata la fase più politica dell’accordo, se non lo farà Israele ricomincerà come prima.
Tornando agli ostaggi bisognerà aspettare l’insediamento di Trump prima di vedere qualche novità?
Sì, anche se si deve occupare di diversi dossier e magari si dedica prima al Canada, al Messico, alla NATO, alla Cina. A questo punto occorre aspettare cosa farà.
(Paolo Rossetti)
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