Gaza come avamposto nel Mediterraneo del Qatar, per sfruttare le risorse energetiche della costa (il gas), realizzando anche un porto che ne farebbe un punto di riferimento commerciale per tutta l’area. Potrebbe essere questo, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il futuro della Striscia una volta che la tregua lascerà il passo alla definitiva conclusione della guerra.
Un’ipotesi niente affatto peregrina, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, che rappresenterebbe per la monarchia del Golfo la ricompensa per l’instancabile lavoro di mediazione svolto fra Israele e Hamas a partire dal 7 ottobre 2023 in poi. Trump, che ribadisce di voler spostare i palestinesi in Egitto e Giordania, alla fine potrebbe rendersi conto dell’inapplicabilità del suo piano e sposare la soluzione qatarina. Un’eventualità che scompaginerebbe i piani della destra religiosa ebraica: il ministro Bezalel Smotrich, parlando a una riunione di partito, avrebbe riferito, infatti, delle intenzioni del governo di affidarsi a un nuovo capo militare determinato a conquistare in quattro mesi Gaza, facendo seguire a tutto ciò l’applicazione della proposta di Biden di deportazione dei palestinesi.
L’ipotesi di Gaza come avamposto qatarino ha una sua logica o siamo alla fantapolitica?
Ha un senso, è perfettamente in linea con quello che è storicamente l’atteggiamento del Qatar, un Paese geograficamente minuscolo ma finanziariamente ricco, con risorse tali da ambire a giocare un ruolo importante nonostante le dimensioni ridotte. Una soluzione che sarebbe in linea con quanto è stato fatto negli ultimi anni, a partire dalla fondazione di Al Jazeera, il braccio mediatico che condizionava (e che condiziona tuttora, anche se in misura un po’ minore) tutta l’opinione pubblica del Medio Oriente.
In questi anni il Qatar si è ritagliato il ruolo di mediatore per eccellenza, prestando i suoi servigi in diverse occasioni. Ora cerca di capitalizzare?
Hanno mediato fra i talebani e gli americani, fra Hamas e Israele, non lo hanno fatto certo per niente. Ci sono motivi di prestigio e di rafforzamento delle relazioni con i Paesi che contano dentro e fuori dall’area, guadagnando punti a scapito di loro competitor regionali come Emirati e Arabia Saudita. Con loro sono in conflitto da anni, hanno dovuto subire addirittura un embargo. Puntano a rafforzare le relazioni con gli Stati Uniti, con Israele, ma ci vorranno guadagnare qualcosa anche dal punto di vista economico e geopolitico.
Qual potrebbe essere la soluzione nelle mire di Tamim al Thani?
Certamente Gaza non diventerà territorio del Qatar, ma chiunque andrà a governare lì, soprattutto se per la ricostruzione accetterà più finanziamenti qatarini rispetto a quelli sauditi, darà modo di sfruttare le risorse dell’area. Gaza ha il potenziale di diventare la Singapore del Medio Oriente, per la sua posizione geografica e per il gas che sicuramente si trova sulle coste.
Hamas ha avuto a lungo la sua sede a Doha, ma secondo alcuni analisti questo elemento non va letto nel senso di una vicinanza del Qatar all’organizzazione palestinese, quanto come una sorta di mandato a mediare con certe realtà che la comunità internazionale avrebbe conferito proprio ai qatarini: è così?
Hanno mediato con i talebani e quello che hanno fatto è stato realizzato con il consenso degli Stati Uniti: in queste situazioni ci vuole sempre qualcuno che faccia il lavoro sporco, o che faccia da filtro, in modo tale che tutti possano dire di non aver parlato direttamente con interlocutori scomodi.
Gli USA, tra l’altro, hanno una grande base militare proprio in Qatar: i rapporti tra Washington e Doha sono molto stretti. Trump ne terrà conto?
Il più grande protettore del Qatar sono proprio gli Stati Uniti e Trump è sempre d’accordo con chiunque abbia i soldi e possa quindi concludere delle transazioni commerciali importanti.
Ora però il presidente americano continua a dire che i palestinesi se ne dovranno andare in Egitto e Giordania. Come potrà giustificare il cambio di programma?
È il tipico atteggiamento di Trump, che all’inizio la spara grossa per spaventare gli interlocutori: è il suo modo di fare affari. Poi a ricondurlo alla ragione al massimo ci penseranno i suoi consiglieri, perché si tratta di decisioni che non può prendere da solo. Di certo non potrà imporre una volontà del genere all’Egitto e alla Giordania, perché la rifiuterebbero non solo i governi, ma anche l’opinione pubblica di quei Paesi, mettendone a rischio la stabilità. Una soluzione del genere farebbe piombare il Medio Oriente nel caos, se non addirittura tutto il mondo islamico. Per non parlare del fatto che si configurerebbe a tutti gli effetti come un crimine di guerra, una deportazione di massa.
Quindi Trump per ora punta sul Cairo e Amman, mentre poi potrebbe sposare la soluzione che favorisce il Qatar?
Sì. Si troveranno delle soluzioni alternative, d’altronde il segnale di rifiuto di Egitto e Giordania è arrivato molto forte a Washington.
La soluzione qatarina potrebbe destabilizzare, invece, il governo israeliano? Smotrich sembra convinto che si vada verso l’occupazione di Gaza.
Certo, i partiti che hanno una visione messianico-apocalittica non saranno contenti e saranno indeboliti politicamente, potrebbero essere tentati di uscire dalla maggioranza e far cadere il governo, senza alcun dubbio. Ma è anche vero che i loro piani sono irrealizzabili, perché scatenerebbero l’inferno in tutta l’area, altro che la guerra che dura da 15 mesi, circoscritta a Gaza. Una deportazione di massa dei palestinesi potrebbe realmente portare al collasso anche i pochi Paesi stabili ancora rimasti nell’area. E non so quanto tutto questo possa andare a vantaggio di Israele.
Il Qatar, comunque, è destinato ad avere un ruolo sempre più rilevante nella regione?
Il Qatar sente un po’ anche la pressione del grande elefante geopolitico che si sta affacciando sulla scena: l’Arabia Saudita. Ha potuto giocare liberamente in tutti questi anni, nonostante l’ostruzionismo dei sauditi, che però ancora non avevano le ambizioni che hanno adesso. Riyad, però, in questo momento sta rappresentando un grande problema per Doha. Per questo il Qatar sta facendo di tutto per giocare le carte a disposizione. Vuole farlo prima che l’Arabia Saudita sia completamente trasformata dal piano di Mohammad bin Salman: il giorno in cui sarà plasmata sul modello emiratino-qatarino potrebbe fare l’asso pigliatutto.
(Paolo Rossetti)
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