Per il futuro di Gaza, il segretario di Stato USA Antony Blinken non vuole Hamas, ma neanche l’occupazione di Israele. Ecco allora che torna a far capolino per il dopoguerra la soluzione di una gestione della Striscia che coinvolga l’ANP. Netanyahu stesso starebbe virando su questa soluzione. La realtà, però, è che su Gaza non ci sono idee chiare e dopo tutte le discussioni su una possibile tregua lunga o un cessate il fuoco, l’unica opzione che rimane sul campo è quella militare, alla quale si sarebbe rassegnato lo stesso staff di Biden.



Il premier israeliano e i capi dell’IDF, tuttavia, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai a Gerusalemme e poi inviato di TG1 Esteri, temono l’incriminazione da parte dei giudici internazionali, che sarebbe imminente, e si stanno adoperando per prefigurare una difesa: per questo avrebbero liberato il direttore dell’ospedale Al Shifa e altri palestinesi, riattivando l’energia elettrica per alcuni impianti di pubblico servizio. Questo mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant chiede 10mila soldati in più, per combattere nella Striscia contro una Hamas niente affatto distrutta, per prepararsi a un’eventuale guerra più intensa con gli Hezbollah in Libano ma anche per premunirsi dalla defezioni dei riservisti, alcuni dei quali si sono rifiutati di continuare a combattere a Gaza, non obbedendo all’ordine di distruggere le case dei palestinesi perché sottintende la volontà di non farli più tornare nelle loro abitazioni.



Secondo Times of Israel, Netanyahu avrebbe aperto alla possibilità di utilizzare personale dell’ANP per la gestione di Gaza. Gli americani sarebbero disposti ad addestrare personale dell’Autorità Palestinese. Tutto questo mentre a Gaza si combatte ancora contro Hamas in diverse località. A che punto siamo realmente per quanto riguarda la Striscia?

Già nel 2007 l’allora presidente USA mandò un generale a coordinare l’addestramento a Ramallah per formare una forza che avrebbe stroncato Hamas. In realtà in questo momento la situazione militare e politica è contrassegnata da una grande confusione. Sul fronte USA Biden ha chiesto prima una tregua e poi un cessate il fuoco; quindi, Blinken ha proposto ad Hamas di riporre temporaneamente le armi per rilasciare gli ostaggi, ma senza dire niente sul futuro di Gaza. Sul fronte israeliano si è passati da una tregua che portò alla liberazione di 100 ostaggi a una trattativa con i mediatori di Qatar ed Egitto, attestandosi sulla richiesta di un armistizio temporaneo, mentre Hamas ha tenuto una posizione sempre più ferma su un punto: il cessate il fuoco deve essere definitivo con rilascio degli ostaggi e ritiro delle truppe.



Anche l’ipotesi di far convivere due Stati, uno israeliano e uno palestinese, non è più al centro del dibattito?

Gli americani inizialmente erano convinti che potesse essere una via di uscita. Di fronte al no di Netanyahu, hanno chiesto un intervento dell’ANP su Gaza, ma anche questa soluzione è stata bocciata dagli israeliani. Allora hanno ripiegato sulla presenza di soldati di Stati arabi come Egitto ed Emirati. Adesso accanto a questi dovrebbero esserci rappresentanti dell’ANP. Insomma, idee poco chiare anche da questo punto di vista.

Ci sono però anche altri segnali a livello politico che sembrano poter incrinare la solidità dell’esecutivo.

All’interno di Israele ciascuno sta giocando una partita in proprio: abbiamo visto le dimissioni di Gantz e l’approvazione della legge per la leva obbligatoria anche per gli ortodossi che frequentano le scuole ebraiche, prima esentati dal servizio militare. Una legge che Netanyahu aveva sempre tenuto nel cassetto e che colma il malumore del mondo laico israeliano nei confronti della numerosissima comunità degli ortodossi, ma che pone problemi seri di stabilità a un governo in cui gli ortodossi appoggiano Netanyahu.

La liberazione da parte dello Shin Bet del direttore dell’ospedale Al Shifa e di altri palestinesi, intanto, sta suscitando grandi polemiche. La linea dura del governo si sta incrinando?

Netanyahu e i capi militari hanno sullo sfondo le eventuali decisioni dei magistrati dell’Aja che si stanno occupando di Gaza, in particolare quello contro i crimini di guerra. La liberazione del direttore e di 50 persone, dovuta allo Shin Bet, va legata al tema delle torture nelle carceri israeliane, che è all’attenzione degli investigatori della Corte penale internazionale. È un segnale per loro, come dire “noi liberiamo i prigionieri quando accertiamo che non siamo complici del 7 ottobre”. Mettono le mani avanti per una situazione che non riguarda solo le persone catturate a Gaza, ma anche quelle arrestate in Cisgiordania. Ci sono foto terrificanti di detenuti rilasciati in condizioni mentalmente devastate. Molti altri sono morti. Il direttore di Al Shifa una volta rilasciato ha parlato di torture giorno e notte, anche privazione del sonno e di numerose persone morte dopo gli interrogatori. La liberazione è un tentativo di prefigurare una linea di difesa di fronte a eventuali mandati di accusa e di cattura.

Il futuro di Gaza intanto rimane indefinito. Non solo, si combatte anche in quelle zone, come Khan Younis e il Nord della Striscia, dove secondo gli israeliani Hamas non doveva esserci più. Rimane comunque solo e sempre l’opzione militare?

Il prolungamento del conflitto è legato alle vicende delle elezioni americane: lo staff di Biden si è allineato sulle posizioni di Blinken e di una parte dei funzionari per cui Hamas deve essere sconfitta militarmente. Il presidente USA ha rinunciato a chiedere ancora il cessate il fuoco mentre si attende di sapere se confermerà o meno la sua candidatura. Intanto si procede militarmente, senza tenere conto dell’aumento delle vittime.

Il ministro della Difesa Gallant ha chiesto subito 10mila soldati, di cui 4.800 da reclutare fra gli ortodossi. Vuole rilanciare l’iniziativa a Gaza perché Hamas è più forte di quello che si credeva oppure perché Israele vuole lanciarsi nella campagna del Libano?

Entrambe le cose più una terza. Sulle prime pagine dei giornali israeliani si parla del rifiuto di alcuni riservisti di continuare a operare a Gaza, al punto che si sono dichiarati disposti a finire in carcere. Il motivo è che le azioni militari ordinate loro non tengono conto della presenza dei civili. Ai soldati si chiede di demolire totalmente palazzi e case: qualcuno si è rifiutato perché si tratta di interventi che mirano a impedire il ritorno dei civili. Elementi che esprimono un malessere più generale che investe i militari riservisti. Anche questo spiega la necessità di avere più soldati.

Insomma, ci dobbiamo aspettare notizie solo dal campo di battaglia?

Quando permane l’opzione militare si rispolverano gli aiuti umanitari: allontana le critiche più feroci e dà l’impressione di un’azione militare che possa essere compatibile con quella umanitaria. Il famoso molo dove gli USA sbarcano di tanto in tanto aiuti pagati dai Paesi arabi e il riallaccio dell’energia elettrica agli impianti di desalinizzazione e per il trattamento dell’immondizia a Gaza vanno inseriti in questo contesto. Anche questi ultimi elementi, frutto di una decisione dell’esercito, vanno nel senso di prevenire l’accusa di crimini di guerra. La notizia che circola è che l’ufficializzazione delle accuse e dei mandati di cattura sarebbero imminenti.

(Paolo Rossetti)

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