Dopo un vertice di maggioranza in cui sarebbe stata confermata la volontà di Giuseppe Conte di mantenere al momento l’interim all’Agricoltura, cercando al contempo di allargare il sostegno parlamentare al Governo, nel tardo pomeriggio di ieri il Premier si è recato al Quirinale per riferire al presidente della Repubblica a seguito del voto di fiducia di Camera e Senato che ha chiuso la crisi di governo meno di sette giorni dopo la conferenza stampa con cui Matteo Renzi aveva annunciato l’uscita di Italia Viva dall’esecutivo. Per Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore, tuttavia, «la crisi è formalmente chiusa, ma resta praticamente aperta».



Perché?

Perché al Senato, tra l’altro con un finale rocambolesco, e con il supporto di alcuni senatori a vita e di transfughi, è stato ottenuto un numero di voti inferiori alla maggioranza assoluta. Di fatto vuol dire che un ramo del Parlamento, soprattutto per quel che riguarda i lavori delle Commissioni, non è al momento sotto il controllo della maggioranza. Ora tocca a Conte cercare di rendere più stabile il sostegno al suo Governo nell’arco di due-tre settimane. Da questo punto di vista, quindi, la crisi di fatto non è ancora chiusa. È soggetta a possibili colpi di scena.



Quanto può essere difficile per Conte trovare una maggioranza più stabile?

Il Premier ha davanti a sé due opzioni. La prima è raccogliere i consensi sparpagliati di senatori alla ricerca di una nuova collocazione politica e probabilmente di qualche incarico di governo o sottogoverno. La seconda è un rafforzamento più “politico”, che vada oltre il mero numero necessario ad arrivare a quota 161 al Senato, facendo quindi in modo che alla maggioranza composta da Pd, M5s e Leu, si affianchi una pattuglia più o meno consistente, un gruppo politico che incarni i valori liberali, popolari e socialisti che sono stati richiamati da Conte nel suo discorso alle camere. Oggettivamente si tratta di un’operazione molto più complessa della prima.



Bisognerebbe dar vita al più volte evocato “partito di Conte”…

Questo non lo sappiamo e probabilmente nel caso ci saranno smentite fino all’ultimo. Si tratterebbe comunque di una scelta politica con la quale fare i conti e diversa dal cercare di raccogliere, come si è cercato di fare, con un successo relativo, qua e là dei senatori.

Nei giorni scorsi si è parlato molto del duello tra Conte e Renzi. Come ne esce l’ex Premier?Avrebbe potuto votare la sfiducia e far cadere il Governo…

Sulla carta. Pensando all’esito finale, col senno di poi il no di Italia Viva avrebbe certamente costretto Conte alle dimissioni. Tuttavia, l’astensione era politicamente motivata dalla necessità di evitare uno “strappo” all’interno di Italia Viva, evitando che qualcuno dei suoi senatori potesse essere portato a votare sì alla fiducia. Renzi era di fronte a una scelta obbligata: l’astensione per non rafforzare il Governo Conte.

Ora però ha le mani libere.

Sì, a parte il contributo che è già stato assicurato sia sullo scostamento di bilancio che sul Decreto ristori 5, su tutto il resto la partita è aperta. Renzi politicamente è all’opposizione, non è da vedere come una sorta di sostegno esterno alla maggioranza. Avere le mani libere al Senato significa, pensando al lavoro delle commissioni, che numericamente non sono tutte sotto il controllo della maggioranza, poter interloquire su ogni aspetto. Sicuramente il leader di Italia Viva continuerà a portare avanti le sue istanze su due temi importanti come il piano vaccini e il Recovery plan.

Proprio sul Recovery plan i tempi stringono e l’Europa, vedasi le ultime dichiarazioni di Gentiloni e Dombrovskis, ci sta col fiato sul collo. Il Governo supererà questa sfida?

L’esecutivo dovrà essere in grado in un mese di presentarsi con un Piano nazionale di ripresa e resilienza di fatto riscritto. Non è molto tempo, anche perché Conte si è nel frattempo impegnato, con l’obiettivo di raggranellare consensi, a discutere questo piano con i parlamentari e le parti sociali. Dunque il Premier ha di fronte un’operazione complessa da ultimare in tempi molto stretti. Si capisce bene la preoccupazione dell’Europa che ricorda che riusciremo magari a incassare le prime risorse a giugno, ma che le altre quote possono essere bloccate se il piano non risponde alle richieste di Bruxelles, che sono nel merito significative, riguardano la governance, la capacità di indicare obiettivi e risultati e il modo con cui li si raggiungono.

Conte si è impegnato anche a mettere a punto un patto di legislatura…

Già mettere insieme le istanze dei tre partiti rimasti nella maggioranza è un’impresa. Non dobbiamo dimenticare che di fatto il momento di verifica di Governo era stato aperto a fine 2019, poi è arrivata la pandemia e solo nel novembre scorso sono stati avviati i tavoli per mettere a punto un patto di legislatura. Tavoli che, come ha ricordato a ragione Renzi, si sono rapidamente trasformati in un nulla di fatto. Dunque non è facile raggiungere quest’obiettivo, soprattutto se bisogna tenere anche conto del contributo sparso di qualche senatore. Tra l’altro Conte ha proposto anche una legge elettorale con il sistema proporzionale, sostenendo che assicura la stabilità. Considerando gli obiettivi che si è dato, il Premier ha davanti un’operazione più che complicata.

Guardando all’agenda politica, qual è il primo scoglio effettivo da affrontare?

Indubbiamente il Governo dovrà lavorare pancia a terra sul Recovery plan: questo è il primo scoglio. Poi ci sono altri dossier industriali importanti, senza dimenticare la vicenda Mps. Soprattutto c’è da affrontare il tema del termine del blocco dei licenziamenti a fine marzo. La maggioranza potrà essere tentata di risolvere il problema con un’ennesima proroga, ma sarebbe un’operazione con il fiato sempre più corto. La situazione imporrebbe una svolta per cercare di ricreare, sfruttando anche la messa a punto del Recovery plan, le condizioni di occupabilità in un Paese che da questo punto di vista è con l’acqua alla gola. Affidarsi alla riconferma della Cig, tra l’altro con costi non indifferenti, non dà purtroppo un orizzonte reale di crescita.

Molto dipenderà anche dalla gestione della pandemia. Per Conte non sarà più difficile ricorrere ai Dpcm?

Certamente sarà messo alla prova anche per quanto riguarda la realizzazione del piano vaccinale, ancora alla fase iniziale. Per quanto riguarda le indicazioni sulle riaperture o le restrizioni rispetto all’andamento pandemico, per Conte il ricorso al Dpcm di cui si è servito finora diventerà più complicato, perché è emersa una maggior debolezza nella capacità di governo che non gli consente di agire da “uomo solo al comando” come ha fatto spesso l’anno scorso. 

Ieri Conte si è recato al Quirinale per riferire al capo dello Stato dopo le votazioni delle Camere: cosa gli avrà detto Mattarella?

Sicuramente avrà posto l’accento sull’esame della realtà. Che è quella di un Governo che al momento ha una maggioranza al Senato molto fragile, con tutto quello che ne consegue. Gli avrà fatto presente che se ha intenzione di andare avanti dovrà fare in modo di rafforzare la maggioranza non con una rincorsa senatore per senatore, ma con un rafforzamento politico. Seguendo quindi la seconda delle due opzioni di cui ho parlato all’inizio.

Intanto si avvicina il semestre bianco…

Che inizierà ad agosto. Un Governo forte, con una maggioranza più solida rispetto a quella che si è prospettata con il voto al Senato, può immaginare di varcare tale soglia. Diversamente, se da qui a luglio, un periodo non certo breve, cominciassero ad accumularsi incidenti parlamentari su incidenti parlamentari, il Governo potrebbe entrare in difficoltà e a quel punto si dovrebbe dare spazio a una soluzione diversa da quella attualmente in campo.

(Lorenzo Torrisi)