Quando sabato sul palco di Cernobbio il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana ha posto a Giorgia Meloni la seconda domanda sul caso Sangiuliano, la platea dei businessmen ha rumoreggiato. Con un sorriso sornione la premier ha registrato che l’estate politica finiva in quel momento, portando con sé le scorie della poco commendevole storia che ha costretto il ministro della Cultura a rassegnare le dimissioni.
A chi si occupa di economia e d’impresa interessa ben altro: preme conoscere come un governo saldamente in sella nonostante l’innegabile danno di immagine si prepara ad affrontare un autunno denso di incognite dal punto di vista economico. Lo sanno tutti che la coperta è corta, visto anche che l’Europa sembra intenzionata a tornare ad una politica di maggior rigore di bilancio. Meloni ha cercato di essere la più convincente possibile quando ha assicurato che c’è la volontà di confermare ciò che era stato impostato lo scorso anno, ma sa che non sarà facile. Ci sono partite delicate, come quella dell’assegno unico, soggetto a infrazione europea (che lo vorrebbe esteso anche ai lavoratori stranieri, con rilevante aggravio delle casse pubbliche). In cima alla lista delle priorità, ha assicurato, le aziende che assumono, i salari, la salute e la natalità. Da qualche parte, però bisognerà tagliare (“l’epoca dei bonus è finita”), e non sarà facile con Cgil e opposizioni di sinistra pronte a scendere in piazza.
La seconda partita delicata dei prossimi mesi sarà quella del sostegno all’Ucraina, priorità ribadita anche nell’incontro con Zelensky, proprio a Cernobbio. Il nodo è tener duro sulla posizione che tiene insieme il governo: armi a Kiev sì, ma da usare solo sul suolo ucraino. Una posizione che vede un allineamento per certi versi inedito, quello fra il ministro della Difesa Crosetto e la Lega di Salvini. Meloni è rimasta sorpresa e allo stesso tempo infastidita dalla sparata dell’alto rappresentante UE per la politica estera e la sicurezza, l’uscente Josep Borrell, che sempre da Cernobbio ha chiesto di rimuovere tutte le limitazioni per consentire di usare le armi occidentali per colpire in territorio russo. La Meloni sa di non poterselo permettere.
Borrell sarà sostituito a novembre dall’estone Kaja Kallas, da cui è difficile attendersi maggiore flessibilità. L’Europa, insomma, rimane un terreno minato per il governo Meloni, che attende con il fiato sospeso l’annuncio – dovrebbe arrivare in settimana – della distribuzione delle deleghe fra i commissari europei. I rumors che vengono dai corridoi di Bruxelles sono promettenti per quanto riguarda Raffaele Fitto, che dovrebbe essere vicepresidente con attribuzioni rilevanti in campo economico, come richiesto a gran voce da Palazzo Chigi. Ma secondo l’antico detto trapattoniano, non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Con l’Unione ci sono una quantità di questioni aperte, le procedure d’infrazione sono oltre settanta, fra cui alcune particolarmente vecchie e spinose, come quella sulle concessioni balneari. Fitto lascia in eredità un metodo improntato alla cautela, quello di affrontare le questioni una per una, evitando così che si coaguli un grosso problema politico. Serve però a Palazzo Chigi qualcuno che lo sappia interpretare.
La prospettiva del rimpasto si è allontanata nel momento stesso in cui Sangiuliano è stato sostituito. Procedere tempestivamente per singoli casi, come per le procedure d’infrazione europee, mette al riparo dall’ingigantirsi dei problemi. Qualora la ministra del Turismo Santanchè dovesse essere rinviata a giudizio, si procederà probabilmente con la stessa rapidità. Per Fitto c’è tempo, la sua poltrona non sarà libera prima di fine novembre. Del resto, si è capito anche nel caso della staffetta Sangiuliano-Giuli che il Quirinale non è interessato a mettere al governo i bastoni fra le ruote per problemi che non hanno nulla di politico. Pur di cavare le istituzioni dall’imbarazzo, Mattarella ha dato il via libera al fulmineo cambio della guardia al ministero della Cultura, e ha forse tirato un sospiro di sollievo.
I problemi politici sono altri: all’interno, la continua offensiva di Tajani sullo ius scholae, all’esterno – ma è più fisiologico – l’arrembante opposizione di Pd, M5s, Cgil e Conferenza episcopale italiana all’autonomia differenziata. Tutti dossier da tenere sotto stretta osservazione.
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