Le recenti proteste, a volte violente, di Napoli e le dimostrazioni notturne a Roma contro le nuove misure restrittive annunciate dal governo contro la nuova diffusione del Covid potrebbero essere l’aperitivo, neppure l’antipasto, di quello che arriverà nel prossimo futuro.
Il problema è radicale. Nell’ultimo Dpcm del governo Conte e in quelli che lo hanno preceduto, sia in questa che nella “prima ondata”, non ci sono misure di medio o lungo termine per l’economia; quindi tutti sanno che, se si chiude oggi un’attività, essa non riaprirà fra sei o dodici mesi. Non serve chiedere agli uffici di statistica o della Confindustria per sapere che centinaia di migliaia di piccole e medie imprese falliranno, basta guardarsi intorno per le strade di ogni città per sapere che la vita come era prima non tornerà. In ciò il sussidio di disoccupazione e il reddito di cittadinanza non bastano più, perché sono misure temporanee che non modificano una situazione che sarà permanente e che non viene affrontata in alcun modo.
In tale cornice di forte incertezza economica, la gente pensa di dover scegliere se chiudersi in casa per salvarsi dal contagio, ma condannare ancora di più le sue prospettive economiche, oppure rischiare la vita ma cercare di far andare avanti l’economia. Naturalmente molti scelgono e sceglieranno sempre di più la seconda opzione. Servono quindi prospettive politiche ed economiche chiare per dare fiducia alla gente sulle misure di prevenzione del contagio. Senza di esse, la gente preferirà rischiare il contagio, ma provando a lavorare. Serve un piano di lungo termine, che dica alla popolazione in maniera convincente cosa dovrà essere l’Italia dopo il Covid. La gente può fare sacrifici, ma solo davanti a una prospettiva chiara. Se manca la prospettiva e c’è solo l’oggi, quando l’oggi non è niente, allora è il “si salvi chi può”. Questo sembra il messaggio sottile che sta passando.
La prima ondata a marzo è stata diversa. Allora si è palesata come una sorpresa spaventosa, e la gente, terrorizzata, si è rifugiata dietro il capo, chiunque egli fosse – in questo caso, Giuseppe Conte. Ma il capo allora avrebbe dovuto programmare per la seconda ondata, cosa che non ha fatto. Così oggi la fiducia di ieri si va sciogliendo e si scioglierà a velocità sempre maggiore con l’avanzare doppio delle infezioni e della chiusura delle imprese.
In questo, il fatto che per esempio il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, cerchi di supplire alle mancanze del presidente del Consiglio a Roma non basta. La programmazione economica può essere fatta a Roma, non a Napoli, perché Roma in teoria ha gli strumenti, Napoli no.
Oggi è troppo tardi per fare quello che andava fatto a marzo, ma occorre dare un segnale forte di cambiamento per cercare di frenare la deriva del caos, che tra qualche settimana potrebbe travolgere il paese con conseguenze incalcolabili.
Tale segnale dovrebbe essere uno scossone governativo, con un esecutivo in cui tutti i partiti sono coinvolti, oppure un ritorno alle urne, per avere un Parlamento rappresentativo della realtà attuale del paese.