Ha iniettato una quantità impressionante di tossine nelle vene del sistema politico, la vicenda Quirinale. Centrodestra sbrindellato, 5 Stelle sull’orlo della guerra civile, Pd che non si sente troppo bene, anche se sta (in apparenza almeno) un po’ meglio degli altri. Ci vorrà tempo per smaltire i veleni, ammesso che ciò sia possibile. E il discorso vale anche per Mario Draghi e il suo governo.
Qualcuno potrebbe vedere nel premier allo stesso tempo il grande sconfitto e il king maker di Mattarella. E forse sono parzialmente vere entrambe le affermazioni. Sconfitto, perché le sue ambizioni quirinalizie sono apparse fin troppo evidenti, e hanno finito per essere frustrate da un sistema politico che continua a ritenerlo un corpo estraneo. King maker, però, lo è stato, perché nello strappare il sì di Mattarella al bis è stato determinante il suo appello a rimanere per garantire la stabilità. Più o meno un “se resti tu, resto anche io”.
Da questo punto di vista il governo dovrebbe uscire rafforzato dalla rielezione del capo dello Stato uscente. Da un anno esatto il sistema politico italiano si regge su due pilastri, Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi, che si puntellano vicendevolmente. La conferma di questo equilibrio dovrebbe, in sé, rappresentare una garanzia dì stabilità.
La realtà, purtroppo, spesso non coincide con la teoria. Può sembrare un paradosso, ma Draghi rischia di essere d’ora in avanti più debole per almeno due ragioni.
La prima è che paradossalmente gli viene a mancare da oggi in poi l’ombrello involontario del “semestre bianco”, il meccanismo costituzionale che impedisce al capo dello Stato di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato. Ora Mattarella recupera questo potere, e le elezioni anticipate tornano ad essere una possibilità concreta.
La seconda ragione, che aggrava la prima, è che dal momento del giuramento di Mattarella giovedì 3 febbraio scatterà inesorabilmente il conto alla rovescia per la fine della legislatura. Alle elezioni, comunque vada, mancano tredici mesi, settimana più, settimana meno. Siamo di fatto al via di una lunghissima campagna elettorale, che sarà difficile non finisca per coinvolgere il governo, dal momento che i partiti tenderanno inesorabilmente a differenziare le proprie posizioni in chiave di recupero di consensi.
Il fenomeno è destinato ad acuirsi man mano che il tempo che ci separa dal ritorno alle urne si ridurrà. Draghi, dunque, non ha scelta, se non giocare d’anticipo. Se ne ha la forza e la lucidità deve imprimere nel giro di pochi giorni uno strattone violento all’azione di governo, impantanata ormai da diverse settimane. Deve tirare le redini e imporre alla sua creatura di tornare a galoppare per sperare di centrare l’obiettivo dell’attuazione delle riforme previste dal Pnrr. Lui sembra esserne cosciente, tanto è vero che già per oggi ha convocato un Consiglio dei ministri sulle misure Covid da mitigare. Ma le vere sfide sono altre, a cominciare dal caro energia, e il premier non può sperare che tutto gli sia perdonato sempre. Se le reprimende alle aziende italiane chiamate a discutere con i vertici russi, o le manganellate agli studenti in piazza, fossero arrivate ad altri governi, tutti si sarebbero stracciati le vesti.
Draghi deve accelerare, soprattutto per non restare invischiato nella palude dei partiti. Salvini è stato il più lesto a chiedere udienza per reclamare una messa a punto dell’azione di governo, oggi esageratamente sfilacciata. Quale provvedimento contro il caro bollette? E nei confronti dell’inflazione che sale? E verso le pulsioni bellicose della Russia? Fino a che punto fare la faccia dura in Europa nel momento in cui si ridiscutono i termini del patto di stabilità?
La carne al fuoco è tanta, e per Draghi sarà difficile fare sintesi. Come ha fatto Salvini, insieme al suo numero due Giorgetti, anche altri partiti busseranno al portone di Palazzo Chigi per avere una fetta di politica economica da intestarsi.
Solo se tornerà a imporre una marcia a tappe forzate Draghi potrà evitare le sabbie mobili. L’ombrello di Mattarella c’è sempre, ma potrebbe essere assai meno efficace di prima.
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