Il governo Conte-2 ottiene la fiducia anche al Senato con 169 sì e 133 no. Non solo: incassa anche la nomina di Paolo Gentiloni come commissario Ue all’Economia. Nello stesso giorno, dal fronte dei conti pubblici e della congiuntura economica, raccoglie due dati non proprio esaltanti: da un lato, Moody’s taglia le stime di crescita del Pil 2019 al +0,2%, confermando tuttavia il rating BAA3, con outlook negativo, sul debito dell’Italia, perché ha ritrovato una sua stabilità politica; dall’altro, l’Istat certifica il secondo calo consecutivo della produzione industriale (-0,7% nel mese di luglio). Che quadro emerge da questi tasselli? L’Italia ha ritrovato un suo peso in Europa? E il governo giallo-rosso saprà trovare le chiavi giuste per scardinare la porta che ci blocca in una perenne crescita zerovirgola? Lo abbiamo chiesto a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.



Come valuta la nomina di Gentiloni a commissario Ue dell’Economia e non degli Affari economici e monetari?

La posso definire con un’immagine tratta da un libro di Italo Calvino, “Il visconte dimezzato”. O, per usare le parole di Tognazzi, “metà porzione”.

In che senso?

La mezza porzione in questione è la meno significativa, perché riguarda quello che potremmo definire il ministero dello Sviluppo economico della Ue, ma non il ministero dell’Economia e delle Finanze. Il bilancio e il debito restano sotto il controllo di Valdis Dombrovskis, il commissario all’euro. A Gentiloni tocca stabilire se le politiche di sviluppo dei Paesi Ue sono conformi alle regole europee sulla crescita, fermo restando, però, che la valutazione effettiva di bilancio spetta a quell’altro. Il suo è un compito rappresentativo, avendo un potere decisionale molto limitato. È una specie di giudice istruttore rispetto a Dombrovskis, a cui compete il verdetto finale sulla conformità alle regole del Patto di stabilità.



Insomma, Bruxelles ci ha dato un contentino?

È una presa in giro dell’Italia, a cui si dà un portafoglio dal nome altisonante, ma che in realtà è secondario. Gentiloni è una specie di sottosegretario di Dombrovskis. Colpa di una mossa infelice operata da questo governo.

Dove sta l’errore?

Conte ha chiesto troppo e così ha portato a casa soltanto una mezza porzione, oltre tutto la meno sostanziosa. Se avesse chiesto un incarico meno ambizioso, l’avrebbe senz’altro ottenuto, potendo così mostrare un risultato concreto. È un ulteriore segnale di ciò che questo governo, sotto la guida di Conte, un regista peraltro di scarso peso, riuscirà a compiere, perché non ha autorevolezza adeguata. E non è un fatto intrinseco allo schieramento in campo, è intrinseco alla strategia che questo schieramento ha deciso di adottare.



Quale strategia?

Essendo la strategia molto superiore ai mezzi di cui esso dispone, il governo giallo-rosso finisce con il produrre bolle di sapone. In questa prima mossa ha dimostrato di non essere abbastanza realistico e operativo.

In conferenza stampa la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha messo in riga l’Italia. I maggiori spazi di flessibilità sbandierati nascono già monchi? Dovremo conquistarceli di nuovo, decimale per decimale, con le unghie e con i denti?

Non è una questione di quantità, ma di qualità. A tal proposito, e sempre con una mossa precaria, cioè azzardata, è stato messo all’Economia un personaggio di levatura tecnica molto elevata, Gualtieri, che ha profonda competenza nelle tematiche dell’abracadabra dei lacci europei del Fiscal compact.

Perché la definisce una mossa precaria e azzardata?

Gualtieri ha un chiodo fisso: le deroghe alle regole del quasi pareggio di bilancio si fanno per gli investimenti. Una regola che per Gualtieri non va pensata sulla base della teoria del bilancio corretto per il ciclo, ma in chiave storica. Storicamente durante i cicli economici si possono fare deroghe perché ci si trova in una situazione di depressione e gli investimenti possono tornare utili per rilanciare l’economia. È quella che oggi si chiama tecnicamente la teoria dell’output gap, cioè della capacità produttiva non utilizzata, calcolata con due formule.

Ebbene?

Entrambe le possibili formule non collimano con il programma di questo governo, salvo immaginare che gli investimenti vengano sbloccati nell’iter procedurale o che ci sia una riforma della giustizia e delle procedure amministrative tale per cui c’è un processo rapido, i controlli avvengono ex post e i fallimenti non durano all’infinito. Tutte cose che non trovo nel programma del Conte-2.

Colpa della componente anti-sviluppista grillina?

Sì, ma anche nel Pd, che pure vorrebbe fare gli investimenti, c’è un certo “giustizialismo”. Il Pd ha infatti la mania di volere un indagatore per i controlli anti-mafia preventivi negli appalti, cosa che non funziona, perché la mafia non è così ingenua da presentarsi prima. Ma tutto ciò fa perdere tempo e rende difficile l’investimento. Basti pensare alla mancata ricostruzione dopo il terremoto di Arquata: tutto fermo. E se non riescono a sbloccare nemmeno quello, come pensano di riattivare gli investimenti in base alla teoria cara al nuovo ministro Gualtieri?

Non serve a questo la flessibilità che ci concede la Ue?

La flessibilità che noi chiediamo non è per investimenti e riforme, è semplicemente per il reddito di cittadinanza, che così come è oggi concepito è aberrante, o per il reddito di inclusione, che per come viene presentato nel programma è una misura ottima, anche se esposta in maniera tortuosa proprio per non dare fastidio agli alleati cinquestelle. Ma le misure sociali vanno finanziate, non sono ammesse come deroghe al bilancio, perché non aumentano la capacità produttiva inutilizzata e la ripresa economica.

Proprio in merito alla ripresa economica, secondo l’Istat, a luglio, la produzione industriale è calata ancora dello 0,7% rispetto al mese precedente. Il nuovo governo sulle misure per la crescita ha elencato solo buone intenzioni?

No, c’è qualcosa di negativo, perché, se si aumentano le spese correnti, creando nuovo debito, si riducono le prospettive di crescita future. L’impostazione di questo governo non risolve questi problemi. E aggiungo che la crisi dell’auto è in gran parte causata dalla norma assurda di tassare le produzioni a gasolio. Una tassazione che viene presentata in modo ideologico. Ma è chiaro a tutti che è solo una misura contro la Fiat, la quale ha una produzione molto brillante di auto basata su motori a gasolio ad alto rendimento, che negli Usa hanno ottenuto le sovvenzioni federali per il risparmio energetico. La Volkswagen e la Renault non ci sono riuscite, per cui assistiamo a una partita europea contro la Fiat, nella speranza che, così indebolita, sia costretta ad associarsi a qualche impresa francese.

Ieri Moody’s ha confermato il rating sul debito dell’Italia, motivandolo con la ritrovata stabilità politica. Concorda?

La stabilità politica non mi pare proprio che sia stata ritrovata, semmai si può dire che l’Italia ha ridotto l’instabilità politica pericolosa per gli equilibri europei. Però c’è anche un’altra instabilità politica: nel Pd con la lotta tra Renzi e Zingaretti; nel M5s, che cerca di difendere frontiere indifendibili nei confronti del Pd e della Ue; nel nuovo governo, che è un insieme contraddittorio destinato a durare finché sarà utile contro il cosiddetto sovranismo di Salvini; e nell’opposizione, dove proprio Salvini sta commettendo tre gravi errori.

Quali?

Uno, fare un’opposizione in piazza, invece dovrebbe farla in Parlamento, seguendo l’esempio di Giorgetti; due, associarsi a Fratelli d’Italia, che ha una componente nazionalista addirittura anti-democratica; tre, cercare di indebolire Forza Italia, creando al suo servizio un fittizio partito pseudo-liberale. Così Salvini lascia sguarnito il centro, ma sbaglia, perché il centro è l’elemento decisivo. E sbaglia tattica anche nei confronti dei suoi elettori, che vogliono l’euro, e non una moneta nazionale svalutata, perché commerciano con l’Europa e con il mondo: Salvini dovrebbe ridare spazio ai governatori del Nord, ripartire dall’autonomia differenziata e dal principio di sussidiarietà proprio per costruire una nuova ipotesi politica più europea.

(Marco Biscella)