“Il Governo va avanti”, “non vedo nessun disastro all’orizzonte”: parola di Mario Draghi. Così si è espresso in conferenza stampa il presidente del Consiglio, che ha voluto minimizzare le divergenze (per esempio sul Green pass) e disinnescare le polemiche (sull’operato del ministro Lamorgese) tra i partiti che sostengono il suo esecutivo. E ha aggiunto: “Il chiarimento politico lo fanno le forze politiche”. Certo “è chiaro che sarebbe auspicabile una maggiore convergenza” sui provvedimenti, ma “il governo va avanti”.



Di fronte a Draghi, però, c’è una strada impervia, come spiega Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e del Coordinamento delle politiche comunitarie: “Draghi adesso deve affrontare tre sfide simultanee: il caos interno alla sua maggioranza; il problema monetario, il contesto mondiale che si è creato dopo il ritiro americano dall’Afghanistan”.



Partiamo dal caos interno.

Essendo in pieno semestre bianco, ciascuno ha rotto i freni: chi vota contro, chi vuole le dimissioni di questo o di quello… Ma su questo fronte Draghi non può fare molto, deve subirlo, perché le liti non sono il suo pane e con una coalizione così neanche Andreotti o Forlani sarebbero riusciti a sbrogliare questa matassa. Abbiamo un sistema spappolato.

Il battibecco fra Letta e Salvini sul Green pass è il segnale delle difficoltà politiche che il governo deve affrontare su programmi e riforme da attuare?

Partiamo dal Green pass e dal suo utilizzo discrezionale, un problema che è stato male inteso e gestito. E’ uno strumento dirigista adottato da Speranza e in qualche modo da Letta, per favorire alcuni e danneggiare altri nella gestione dell’emergenza vaccinazione. Pensi solo alla ristorazione, dove ristoranti, alberghi e mense aziendali hanno regole diverse, o ai trasporti: Alta velocità e treni a lunga percorrenza hanno la regola del Green pass, i treni regionali no. La ratio è legata al fatto che loro sono contro i metrò di superficie e i treni regionali, perché valorizzano le periferie e deprezzano gli immobili dei centri cittadini, dove hanno i loro elettori. Se invece il vaccino fosse obbligatorio, come io sostengo, visto che con il Covid è a rischio la vita altrui, tutto questo non ci sarebbe. E’ necessario, quindi, che il Parlamento vari una norma generale, chiara sui Green pass, non è più possibile che le soluzioni vengano adottate da un comitato scientifico o dal ministro. E’ sbagliato il metodo.



Green pass a parte, sulle riforme – dal fisco al mercato del lavoro – il governo è in ritardo?

Il governo è alle prese con difficoltà enormi. E lo dimostra un punto fondamentale legato ai dati della crescita del Pil diffusi l’altro ieri dall’Istat.

Ma i dati parlano addirittura di un +17,3% su base annua e di una previsione di crescita 2021 almeno pari al +4,7%. Dove sta l’inghippo?

Ci si esalta per questo tasso di crescita, ma ci si rende conto che la disoccupazione in Italia è al 9,8%? Con questa crescita abbiamo così tanti disoccupati? E’ una crescita senza occupazione? Allora vuol dire che abbiamo il mercato del lavoro ingessato, che oltre tutto viene pure tassato in misura aberrante. Non solo: abbiamo anche un tasso d’inflazione in aumento più della media europea, e sappiamo che il costo della vita cresce quando c’è il pieno impiego.

Ma il governo Draghi, tra i suoi impegni assunti davanti alla Ue per ottenere i fondi del Recovery plan, prevede di riformare il mercato del lavoro. Che cosa si dovrebbe fare?

Dovrebbe ricorrere ai contratti di produttività, a politiche positive in grado di creare lavoro, di risolvere problemi occupazionali a livello regionale, specie al Sud, senza aggravare l’imposizione fiscale. Più utilizziamo i macchinari – che in Italia vengono impiegati a tassi inferiori al 50% – con il capitale umano più abbiamo occupati e minore spesa per gli investimenti, perché i macchinari si logorano per il progresso tecnologico. Anche a livello salariale, bisognerebbe lasciare alla libera contrattazione locale. Ripristinerei inoltre la legge Treu, poi diventata legge Biagi. Insomma, la cosa più semplice sarebbe copiare il modello tedesco, dentro il quale c’è una norma generale di difesa dei minimi salariali e dei diritti dei lavoratori, mentre per il resto si lascia spazio alla contrattazione libera. Il problema è che dentro questo governo ci sono spinte con indirizzi diversi.

E sul fisco?

Il governo sta ragionando su una riforma fiscale bislacca, che vorrebbe realizzare il ministro Franco con altri, i quali hanno idee generalissime e astratte. Meglio fare una cosa per volta. Essendo un governo con dentro tutti i partiti e non potendo perciò raccogliere un consenso generale, meglio adottare misure parziali, su cui si può concordare, e rapide. Una riforma tributaria, infatti, richiede ben cinque passaggi: la legge delega, che stabilisce i principi generali; la legge delegata, espressa in un Dpr, anch’essa ancora generica; i decreti attuativi, che a loro volta richiedono le circolari ministeriali e infine il passaggio dell’assimilazione da parte della macchina burocratica. Una riforma tributaria scritta adesso impiega non meno di due-tre anni per essere realizzata.

Veniamo al problema monetario.

La Bundesbank, dal punto di vista della teoria monetaria, mostra un certo analfabetismo monetario.

Perché?

Oltre al fatto che il sistema bancario tedesco, dalla Deutsche Bank agli istituti di credito dei Länder, è in grossissima difficoltà, succede che anche una banca tedesca, o americana o inglese, possa detenere debito italiano, perché garantisce rendimenti ai risparmiatori. Quindi è giusto – come fece lo stesso Draghi con il suo “Whatever it takes” a difesa dell’euro – considerare il problema a livello generale. Ma ora il problema diventa anche politico.

Infatti i falchi della Bce stanno rialzando la testa, sull’onda della decisione del tapering annunciato dalla Fed. Già nella prossima riunione della Banca centrale europea si parla di possibili rialzi dei tassi, a fronte anche dei livelli d’inflazione raggiunti nella Ue. Si profilano all’orizzonte nubi minacciose per i nostri conti pubblici? E per Draghi potrebbe aprirsi un fronte con Bruxelles?

Qui ci sono problemi pazzeschi. Quando si discute di politica monetaria, quando i rumors di un possibile danno monetario diventano insistenti, si va a parare sul tema della fiducia, si rischia che qualcuno cominci a non comprare più debito italiano e questo può scatenare un incendio finanziario. Non è come discutere sulle dimissioni di Lamorgese o sul Ddl Zan. Ci vogliono molta prudenza, molta pazienza e molta fermezza.

Cosa potrebbe succedere?

Bisogna vedere se la Lagarde avrà la stoffa dimostrata a suo tempo da Draghi. Dovrebbe prendere in mano la questione, dire il suo “whatever it takes” in faccia alla Bundesbank. Credo comunque che spegnerà l’incendio sul nascere, anche perché la Francia è messa male a causa del suo enorme disavanzo di bilancio.

Il vertice del G-20 sull’Afghanistan, dopo le dichiarazioni di Biden contro Russia e Cina, rischia di essere per Draghi una tagliola?

Avendo l’Italia la presidenza del G-20, l’Europa è chiamata a prendere posizione sulla vicenda Afghanistan e non è semplice, visto che la Germania è alle prese con una sua crisi politica – la Cdu non ha più la maggioranza -, la Spagna è nella sua tragedia, il Regno Unito è uscito dalla Ue, la Francia ha un leader che comanda senza consenso e lo stesso Biden negli Usa è in crisi.

Tutto questo per dire?

Draghi non ha interlocutori dotati di potere.

Queste tre sfide simultanee rischiano dunque di ammaccare la figura di Draghi?

No. Con la partita del G-20 Draghi può diventare il più importante leader europeo. Questa sarà la sua vera sfida.

(Marco Biscella)