Quadro economico a tinte sempre più fosche per il Pil, per le imprese, per l’occupazione e per le famiglie; decreto Semplificazioni approvato “salvo intese”, il che si traduce nell’ennesimo rinvio; tensioni tra Pd e Cinquestelle che si arricchiscono di un nuovo capitolo, la gestione del ponte Morandi a Genova affidata pro tempore ad Autostrade; Angela Merkel che davanti all’Europarlamento “spegne” le speranze di Conte su un Recovery fund ricco e tempestivo (“Serve accordo di compromesso, sosterremo 500 miliardi per il fondo” e non 750, le parole della cancelliera a Strasburgo). In questa “selva oscura” che “al pensier rinova la paura”, per dirla con il Sommo Poeta, non è che per l’Italia la discesa agli inferi si fa sempre più prossima? C’è la possibilità che, senza aspettare un settembre atteso come caldissimo dal punto di vista economico e sociale, già a fine luglio-agosto – come nella crisi dello scorso anno – il governo rischia di implodere o di esplodere sommerso dalle proprie debolezze, incertezze e contraddizioni? Lo abbiamo chiesto a Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore.
Erosione dei risparmi finanziari delle famiglie, crollo del Pil, fallimenti delle imprese, emorragia di posti di lavoro: da fonti autorevoli diverse in questi giorni si è abbattuta sul nostro paese una pioggia di dati macro e micro che dipingono con sempre maggiore nettezza e cupezza un quadro congiunturale drammatico. Stiamo correndo troppo velocemente verso il precipizio?
Si sa da tempo che la ripartenza sarebbe stata complicata in autunno, gli ultimi dati non solo confermano questa prospettiva, ma la aggravano e la rendono drammaticamente ancora più vicina di quel che si poteva immaginare o temere. La caduta del Pil è molto violenta, la nostra decrescita dell’11,2% ci pone purtroppo al primo posto in questa classifica europea, quando invece la Germania perderà “solo” il 6,3%. Si ripropone il tema che nei momenti di difficoltà noi scivoliamo di più degli altri e nei momenti propizi cresciamo più lentamente. Ma le cifre attuali non hanno precedenti.
Il governo ha cercato di porvi rimedio con tre diversi decreti…
I dati rilasciati da Istat, imprese e Banca d’Italia ci dicono che viviamo in una sorta di bolla, fatta di sussidi, bonus, blocco dei licenziamenti e soldi promessi a pioggia. Ma quando questa bolla necessariamente comincerà a sgonfiarsi, rischiamo di trovarci di fronte a un muro, quello della realtà, pesantissimo da scavalcare.
Nei sondaggi emerge comunque che Conte gode ancora di una certa credibilità, ma reggerà alla prova quando la crisi inciderà sulla carne viva delle persone? Potrebbe avvenire anche prima di settembre?
Siamo al livello di guardia. Avremo un agosto molto particolare, perché tanti italiani non potranno andare in ferie, non ci sarà una spinta ai consumi e serpeggia una sfiducia generale, come mostra l’atteggiamento guardingo degli italiani che si aspettano un periodo nero. L’anno scorso abbiamo avuto una crisi politica improvvisa ad agosto innescata, ripensando ai fatti di allora in controluce, dai dissidi tra Lega e M5s sulla vicenda Tav. E oggi continuiamo a dibattere di questi temi, ma al cubo, come mostra il caso del decreto Semplificazioni.
Perché?
E’ vero che Conte sta già andando in giro per l’Europa a raccontare che questa è la riforma più bella mai fatta in Italia, ma la partita è appena cominciata. In realtà è l’ennesimo provvedimento varato “salvo intese”. E poi ritornano le 130 grandi opere di cui si è parlato per mesi, ma non c’è una scaletta degli impegni, non ci sono certezze. Ammettendo che il decreto verrà pronto definitivamente a metà luglio, entro due mesi va però convertito in legge, cioè a ridosso dell’election day del 20 settembre. Il che costringerà il Parlamento a essere aperto anche ad agosto. Ci sono tutti i presupposti perché questa verifica continua, sotto traccia, del governo impatti su questioni delicate, vedi il caso del ponte Morandi dato in gestione ad Autostrade pro tempore. Ecco, pro tempore sembra essere la cifra della politica economica di questo governo. Ma tempo non ce n’è.
Il caso Autostrade è l’ultimo capitolo dei dissidi e dei litigi tra due alleati di governo, Pd e M5s, che non si trovano d’accordo su nulla. Stanno tirando troppo la corda che potrebbe spezzarsi?
Tra Pd e M5s continua il botta e risposta e i pretesti, a cominciare proprio dalle concessioni ad Atlantia, per aprire una crisi non mancano. Ripeto, sulla Tav si è innescata la crisi di governo del 2019. Il terreno è molto minato, ma siamo alle solite: o si compra tempo, rinviando in là le decisioni, oppure se si arriva a un prendere o lasciare la corda si può spezzare.
Senza dimenticare la variabile Italia Viva. Cosa farà Renzi?
Renzi si sta muovendo con grande prudenza rispetto a quello che faceva solo due mesi fa e anche sul decreto semplificazioni, dopo aver detto per settimane che occorreva uno shock da 120 miliardi per le opere pubbliche, si è limitato a dire che la direzione intrapresa è quella giusta. Forse sono i sondaggi in suo possesso, non certo esaltanti, a indurlo alla cautela.
La Merkel ieri ha un po’ spento gli entusiasmi dell’Italia per il Recovery fund, perché davanti all’Europarlamento ha dichiarato che un compromesso va ancora trovato e che probabilmente non si andrà oltre una dotazione di 500 miliardi anziché i 750 annunciati dalla Commissione Ue. L’Europa vuole che l’Italia accetti il Mes? E a quel punto il Mes può fare da detonatore per far saltare l’alleanza giallo-rossa?
Il Mes resta un problema serissimo, tanto più in vista del vertice Ue e alla luce del fatto che l’Europa, al di là del dibattito tecnico sulle condizionalità, comincia a chiedere qualche garanzia in più sul fatto che l’Italia prenda degli impegni concreti. Invece sembra che l’Italia si stia mettendo nella posizione di chi vuole ottenere dei soldi senza alcuna condizione, non solo finanziaria, ma anche su come spenderà queste risorse. Anche questo è un terreno molto scivoloso. La decisione sul Mes impatta direttamente sul presidente del Consiglio, sul partito che lo ha espresso, il M5s, e sul Pd, che è da sempre favorevole al fondo salva Stati. Se si va allo showdown, il Mes rischia di essere come la Tav l’anno scorso.
Non le viene il dubbio che il governo non abbia contezza di quel che ci aspetta veramente?
Quando è scoppiata l’emergenza Covid e hanno iniziato a circolare le prime stime sulla caduta del Pil, il ministro Gualtieri disse: l’impatto del coronavirus sarà molto minore. Questo mi fa pensare che, da un lato, si sia sottovalutata questa crisi che colpisce duro anche il nostro export, su cui si regge la nostra manifattura, e dall’altro che la strategia del governo di varare una pioggia di decreti con centinaia di articoli, migliaia di commi e una infinita tipologia di sussidi e bonus si è rivelata totalmente inefficace. Adesso la realtà sta presentando il conto.
A settembre si voterà in sei regioni. Potrebbe essere confermato lo spostamento verso il centrodestra dell’elettorato? E in quel caso che cosa dovrebbe fare il governo?
Se fossero confermate le previsioni, al momento più accreditate, che oggi emergono dai sondaggi, il governo a quel punto dovrebbe fare una riflessione seria, a partire dal Pd e dallo stesso Conte. I margini di manovra diventerebbero davvero risicati. Se abbiniamo all’eventuale risultato negativo alle regionali la concomitanza che in quelle stesse settimane il governo sarà chiamato a prendere decisioni importantissime, a partire dalla predisposizione della Legge di bilancio che va presentata entro il 15 ottobre, tempo da comprare non ce ne sarà proprio più. Prestando, però, attenzione a un aspetto.
Quale?
In vista delle regionali del 20 settembre, sul fronte degli appalti il Dl semplificazioni, avendo eliminato tutte le gare sotto una certa soglia, dà mano libera ai singoli commissari per dare una spinta ai cantieri. E questo può diventare un’appetitosa vitamina della campagna elettorale, uno strumento utilizzabile per recuperare consensi.
(Marco Biscella)