Chissà se Giorgia Meloni, quando s’immaginava nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, aveva chiaro quanto fosse difficile governare. Se ne è resa di sicuro conto quando ha dovuto in fretta e furia buttare giù una legge di bilancio che non fosse la mera copia a saldi invariati di quanto Draghi aveva lasciato dietro di sé. Ci è riuscita a costo di qualche pasticcio e di una raffica di voti di fiducia, ma tutto o quasi le è stato perdonato in nome del tabù dell’esercizio provvisorio da evitare a tutti i costi.
Con l’anno nuovo l’alibi della corsa contro il tempo è venuto a cadere, e le scelte fatte con la legge di bilancio cominciano a pesare. Lo dimostra il mancato rinnovo del taglio delle accise sui carburanti, che ha provocato un’impennata dei prezzi di benzina e gasolio, con annessa la prima campagna di stampa apertamente contro.
A sue spese la presidente ha verificato quanto la coperta sia corta, che se cancelli una tassa devi trovare altrove i fondi per riparare il buco di bilancio. Lei ha rivendicato come atto di giustizia sociale l’aver concentrato le risorse sul contenimento delle bollette, ma non è detto che questa sia la stessa percezione del suo elettorato di riferimento, che aveva percepito ben altre promesse, nonostante i tentativi della leader del governo di spiegare che lei mai aveva promesso il taglio delle accise. Per ora almeno i sondaggi le danno ragione, la sua creatura, Fratelli d’Italia, veleggia intorno al 30% e l’opposizione appare più divisa che mai.
Non è detto però che questa congiuntura favorevole duri per sempre, perché in tema di fatica di governare ci sono altri fronti aperti. Delicato è quello del sostegno all’Ucraina, su cui Meloni si è fatta carico di spazzar via le ombre che i suoi alleati, Salvini e Berlusconi, si portano dietro in tema di rapporti con la Russia di Putin. La garante dell’atlantismo della coalizione è lei, ma i dolori cominciano quando si tratta di passare dalle parole ai fatti. Le pressioni che Palazzo Chigi sta ricevendo per la fornitura a Kiev di una batteria di avanzatissimi missili contraerei Samp-T assomigliano a una prova d’amore richiesta dagli alleati, ma pone il governo italiano di fronte a un dilemma amletico: privarsi o non privarsi di un’arma costosissima e difficile da rimpiazzare (ci vogliono anni)? Dalle parti del ministero della Difesa c’è chi frena gli entusiasmi: di strutture del genere ne abbiamo pochissime e si rischia seriamente di lasciare scoperti i cieli italiani. In più la fornitura va coordinata con la Francia (comproprietaria della tecnologia), con cui i rapporti non è che in questo momento siano proprio idilliaci. L’impressione è che il ministro della Difesa Crosetto si sia esposto un po’ troppo frettolosamente, e ora fatichi a trovare una via d’uscita. Come se non avesse avuto sin dal principio tutti gli elementi per decidere.
S’innesta qui la questione della qualità della squadra di governo, e della scelta dei collaboratori. Il dibattito sullo spoil system è in fondo tutto qua: va bene sostituire i vertici dell’amministrazione con persone di fiducia (è lecito, e lo fanno tutti), ma almeno devono essere di livello adeguato. Così in alcuni casi almeno, non è sembrato.
Ultimo fronte, e non in ordine di importanza quello europeo. Solo nei prossimi giorni avremo la certezza che nel colloquio di lunedì a Palazzo Chigi Ursula Von der Leyen abbia sollecitato la ratifica dell’Italia al Mes. In fondo manca solo il nostro Paese, e non è detto che poi si debba farvi ricorso. Meloni su questo è stata categorica: mai e poi mai con lei al governo. E contrari sin qui sono stati Lega e Forza Italia. Ma la disponibilità alla ratifica manifestata da Tremonti, uno che con Meloni ci parla, fa capire che qualcosa sta cambiando. Il sì al Mes potrebbe essere il prezzo da pagare per ottenere dall’Europa la tanto agognata rimodulazione dei fondi del Pnrr e di quelli di coesione. Senza questa ridiscussione i 149 obiettivi previsti per il 2023 (tra cui riforma del fisco e del pubblico impiego e cantieri un’azione di molti progetti) sembrano una scalata del sesto grado.
Saper gestire la “fatica di governare” sarà il banco di prova del sogno meloniano di cambiare il Paese. Insieme all’audacia servono competenza ed equilibrio nelle scelte. La luna di miele con l’elettorato non può essere infinita. Non lo è mai stata per nessuno.
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