Le linee di frattura provocate dalla discussione sul riarmo e la difesa europea percorrono i due schieramenti, e spesso si insinuano all’interno dei singoli partiti. Vale per la maggioranza, e forse ancor più per l’opposizione. Le recenti parole di Romano Prodi lo confermano: l’ex premier è uno sostenitore aperto di quel piano Von der Leyen che Elly Schlein vorrebbe radicalmente riscritto e che mezzo Pd ha bocciato nell’emiciclo di Strasburgo. Un piano avversato con tutte le forze dai 5 Stelle e da Alleanza Verdi Sinistra, mentre riscuote la piena approvazione di Calenda e di +Europa.
Sotto il cielo dell’opposizione, insomma, il caos regna sovrano. Ma non è il campo largo a governare il Paese, quindi un tutti-contro-tutti su questo versante dello schieramento politico non ha effetti concreti, e finisce per passare sostanzialmente inosservato, se non nella prospettiva di quanto sia difficile oggi costruire uno straccio di alternativa credibile al governo guidato da Giorgia Meloni, che fra tre giorni supererà in durata gli 886 giorni a Palazzo Chigi proprio del primo esecutivo del professore bolognese, raggiungendo il quinto posto per durata fra i 60 governi della nostra storia repubblicana.
Tre partiti, tre posizioni in politica estera. E anche piuttosto distanti fra di loro. L’attrito fra Tajani e la Lega lo indica chiaramente. La telefonata fra Salvini e JD Vance, vice di Trump, è stata vista come un’invasione di campo dal titolare della Farnesina. Ma alla fine la premier ha sin qui dimostrato di saper tenere a bada i suoi alleati, e di avere la forza politica di saper fare una sintesi vincolante per tutta la coalizione.
Non necessariamente, però, una leadership forte e in grado di dare la linea è sufficiente, specie nel momento in cui sulla rotta da percorrere c’è più di una perplessità. Oscillare fra Casa Bianca e Bruxelles, fra Europa e Stati Uniti non è affatto facile. Negli ultimi giorni la premier è sembrata muoversi con estrema cautela. Ed è sembrata prendere tempo in attesa che la situazione si faccia più chiara.
Al vertice europeo si è mossa soprattutto in senso negativo. Prima priorità: evitare che il piano di riarmo di von der Leyen finisca per avvantaggiare eccessivamente l’industria tedesca alla ricerca di uno spazio, visto che quello dell’automobile si è ridotto.
Seconda priorità: evitare che le nuove spese per la difesa gravino sui conti pubblici più del dovuto. È la posizione di Giorgetti. Perché senza un adeguato allentamento del rigore finanziario dell’Unione solo la Germania potrebbe permettersi il piano di riarmo senza tagliare la spesa sociale. Chiarezza quindi sulla pars destruens, la pars construens può attendere.
Giovedì Meloni volerà a Parigi, alla riunione dei Paesi “volenterosi” che sostengano l’Ucraina convocata da Macron. E magari, nel frattempo, dalle trattative in Arabia Saudita si sarà capito se Trump è riuscito a costruire le condizioni per un cessate il fuoco fra Mosca e Kiev.
Meloni e Crosetto si sono detti disponibili a partecipare a una missione di peacekeeping solo sotto egida ONU e non come Unione Europea. E che il Cremlino opponga sin qui un fermo no alla presenza di militari dei Paesi NATO che hanno aiutato gli ucraini costituisce un motivo di sollievo. Evita una patata bollente.
Anche sui dazi la posizione di Palazzo Chigi è di attesa. E i collaboratori hanno suggerito alla premier di evitare l’imminente visita alla Casa Bianca, quantomeno sino al 2 aprile, data in cui dovrebbero entrare in vigore i dazi americani sulle merci europee. Con Trump, del resto, il condizionale è d’obbligo su tutti i campi. Meglio muoversi solo quando le carte dell’amministrazione a stelle e strisce saranno calate sul tavolo.
Tutto cambia rapidamente da quando Trump è tornato in sella, ma proprio per questo è preferibile attendere che la polvere si depositi prima di mettere il piede in fallo. L’attesa però non potrà essere infinita: prima o poi i nodi verranno al pettine, e Meloni dovrà decidere cosa fare. L’idea di essere ponte fra Europa e Stati Uniti in questo momento pare complicata da attuare e difficile da sostenere.
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