Nel presentare il “Pacchetto di Primavera”, il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ieri ha spiegato che il Patto di stabilità e crescita resterà sospeso anche nel 2022.

Non ci saranno quindi procedure d’infrazione, ma i Paesi ad alto debito continueranno a essere “sorvegliati” da Bruxelles, che “raccomanda” quindi all’Italia di utilizzare il Recovery fund per investimenti aggiuntivi, di perseguire una politica di bilancio prudente appena possibile, prestando attenzione sia lato delle entrate che a quello delle uscite, e di dare priorità alla riforma fiscale e agli investimenti che supportino la transizione digitale e verde.



Dopo quindi le buone notizie sul lato della ripresa dei giorni scorsi, l’Ue ci fa ricordare il peso del nostro debito pubblico. “A parte questo, non vorrei che con tutto l’ottimismo sulla ripresa ci si dimentichi di un dettaglio non certo irrilevante”, ci dice Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.



Quale?

Che dobbiamo ancora recuperare molti posti di lavoro andati perduti a causa della crisi o che rischiano di non esserci più con la fine del blocco dei licenziamenti e della Cig. Purtroppo non sarà facile farlo, considerando la rigidità del nostro mercato del lavoro. È un peccato che la sinistra, che dovrebbe avere a cuore il lavoro, non lo capisca ancora.

La crescita può comunque aiutarci a contrastare il peso del debito pubblico.

Sì, anche se questo non basta. C’è da considerare infatti che il debito presenta un doppio costo per il nostro Paese. Il primo è dato dal peso del pagamento degli interessi sul bilancio pubblico: non sono poche le risorse che occorre stanziare per questa voce e non sappiamo per quanto ancora la Bce ci aiuterà a contenerle acquistando i nostri titoli di stato. Il secondo deriva dal fatto che se c’è un onere per il debito pubblico maggiore occorre che i salari siano minori della produttività del lavoro.



C’è una soluzione per poter ovviare a questo problema?

Anzitutto, dobbiamo cercare di ricorrere il meno possibile al debito pubblico per gli investimenti pubblici, coinvolgendo privati e imprese pubbliche quotate sul mercato. Se poi il debito invece che essere tutto dello Stato fosse “spezzettato” in modo da attribuirne, per quanto di loro competenza, una quota agli enti locali, quest’ultima non finirebbe sul mercato internazionale, diminuendo quindi il rischio derivante da operazioni speculative sui titoli del debito pubblico, e potrebbe anche essere uno dei target degli investimenti fatti dagli italiani coi loro risparmi.

Quanto ha detto sugli investimenti pubblici dovrebbe valere anche per quelli relativi al Pnrr?

Sì. Mi lasci anche dire una cosa sul Recovery fund: credo che la priorità data ai progetti green non sia determinata tanto dalla volontà di contrastare i cambiamenti climatici, ma dall’interesse economico dei Paesi che comandano in Europa per poter riconvertire le proprie industrie e ottenerne un vantaggio.

Torniamo al debito pubblico. Crede che il Governo ne stia sottovalutando il peso?

Ritengo che Draghi sappia benissimo quanto le ho detto e che ne sia in fondo anche un po’ preoccupato. Anche per questo insiste sulle riforme. Indubbiamente l’Italia sta diventando più importante a livello internazionale con questo Governo, ma ci sono già dei fattori che giocano a favore in questo senso: la Brexit, che ci ha reso più indispensabili in Europa, e la strategicità del nostro Paese per gli Usa al fine di contrastare la Cina in Africa.

Questa importanza internazionale cosa comporta?

Che siamo too big too fail. Rischiamo tuttavia di diventare il Mezzogiorno d’Europa, di dover cioè essere continuamente assistiti e non riuscire a diventare autonomi.

Cosa pensa della proposta avanzata da Ignazio Visco a inizio settimana di creare un bilancio comune europeo con l’emissione di debito, distinto da quello pregresso?

Se l’idea è quella di portare avanti un meccanismo come quello del Recovery fund, il quantitativo di risorse che si avrebbe a disposizione sarebbe modesto. Se invece si intende fare qualcosa di più ampio bisognerebbe entrare nell’ottica di creare un’Europa federale, ma non vedo Paesi come Francia e Germania disposti a un’integrazione così importante che le portasse a diventare come la California e la Virginia negli Stati Uniti.

(Lorenzo Torrisi)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI