Per il Governo non sembra esserci solo il problema di un cronoprogramma delle riforme da rispettare, e su cui si è già in ritardo, o della richiesta di dimissioni indirizzata al sottosegretario all’Economia Durigon da parte di buona parte della maggioranza. La fresca circolare del Viminale sui controlli dei green pass da parte degli esercenti, infatti, come evidenzia anche Guido Gentili, ex direttore de Il Sole 24 Ore, “rappresenta una soluzione a metà strada che non fa sufficiente chiarezza, rendendo più facili le obiezioni di quanti si oppongono o hanno perplessità sull’obbligo del green pass potendo sostenere che c’è un caos relativo all’applicazione delle norme”.



L’esecutivo dovrà quindi tornare sul punto?

Certamente, anche perché sono previste delle sanzioni per gli esercenti. Si tratta quindi di un nodo che va sciolto facendo definitivamente chiarezza. Cosa che può avvenire obbligando i titolari delle attività al controllo dei documenti, come del resto è già previsto per quel che riguarda la vendita degli alcolici ai maggiorenni. Ovviamente questo per gli esercenti comporterebbe un onere in più, come del resto ci sarebbe nel comparto della scuola, dove la risposta alla necessità di controlli non può essere quella delle ottomila nuove assunzioni nel personale di segreteria chieste dai presidi: bisogna che anche le singole categorie si facciano un po’ carico del problema.



Tra l’altro il Governo dovrà anche fare una scelta sull’obbligo del green pass nei luoghi di lavoro.

E anche per quel che riguarda il Trasporto pubblico locale, tema che ormai incombe visto che si sta avvicinando la riapertura delle scuole. Ci sono però idee diverse nella maggioranza e quindi occorreranno delle mediazioni come quelle che Draghi ha già messo in atto nel primo semestre a palazzo Chigi.

Tra i partiti intanto sono aumentate le tensioni: rischiano di arrecare maggiori danni all’asse Pd-M5s?

Chiaramente l’avvicinarsi delle amministrative ha riacceso le tensioni tra i partiti, anche perché ci sono in gioco degli importanti capoluoghi regionali. Quello tra M5s e Pd già è un asse strutturalmente pericolante, nonostante sembrasse ben saldo ai tempi del Governo Conte-2. Lo si vede anche dal fatto che sono stati raggiunti accordi per le amministrative solo in alcune città.



Per le sorti dell’asse potrebbero essere importanti le posizioni che verranno prese da M5s e Pd rispettivamente su ius soli e Reddito di cittadinanza. Cosa potrebbe accadere?

I successi dell’Italia alle Olimpiadi hanno fatto riemergere il tema dello ius soli, ma Taverna ha già detto che non è una priorità. Non sappiamo se abbia parlato per tutti i pentastellati, ma sicuramente è più importante la posizione che il Pd prenderà sul Reddito di cittadinanza, vero ultimo tema forte rimasto a M5s. Credo che i dem non si spingeranno fino in fondo con le critiche se vogliono tenere in piedi l’idea di un’alleanza col Movimento. Anche Draghi ha di fatto escluso una cancellazione tout court del Rdc, che invece vorrebbero sia Italia viva che la Lega.

Come vanno interpretate le parole di Draghi sul Reddito di cittadinanza?

In generale non sono in contraddizione con il Draghi-pensiero, ma di certo non si può pensare che il premier si schiacci integralmente sulla posizione di M5s. Ritengo pertanto che ci sarà una messa a punto per distinguere tra la parte del Rdc che rappresenta un sostegno contro la povertà e quella relativa invece alle politiche attive del lavoro che non ha funzionato. Draghi ha messo quindi un paletto e poi cercherà una mediazione, come ha fatto sulla riforma della giustizia.

Sarà necessaria una mediazione anche per la riforma degli ammortizzatori sociali, visto che la proposta di Orlando necessita di risorse che forse il Mef non ha intenzione di stanziare?

Non credo che si possa pensare di ricorrere alla fiscalità generale, cosa che comporterebbe un aggravio ulteriore per chi le tasse le paga già. Tra l’altro anche tra gli imprenditori ci sono punti di vista diversi su questa riforma. Credo quindi ci vorrà anche qui una mediazione. In generale sta comunque emergendo un problema di “coperta corta”: basta pensare anche alla riforma fiscale. Anche per questo nella lettera del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Garofoli ai ministeri si parla di spending review fino al 2025 con un rafforzamento del ruolo del Mef.

Pensando alla lettera di Garofoli, in cui si ricordano gli impegni e le scadenze per i vari ministeri, si intuisce che Draghi dovrà sì mediare, ma anche tenere salda la rotta rispetto al cronoprogramma legato al Pnrr, con il compito non facile di trascinare dietro di sé i partiti di una litigiosa maggioranza…

Sì, dovrà mediare da un lato e accelerare dall’altro, non dobbiamo infatti dimenticare che sulla riforma fiscale e la legge sulla concorrenza è già in ritardo rispetto ai piani. I partiti di certo non lo aiutano, anche per via dei loro atteggiamenti contraddittori. Basta ricordare che se nella proposta delle commissioni Finanze di Camera e Senato sulla riforma fiscale si erano espressi in favore di un abbattimento, o quanto meno una razionalizzazione, delle tax expenditures, con il Decreto sostegni-bis hanno poi votato un allargamento dei bonus e delle detrazioni. Draghi si muove quindi in un contesto in cui il minimo comune denominatore si raggiunge facilmente quando si tratta di spendere, ma non si riesce a raggiungere quando occorre guardare alla sostenibilità finanziaria dei provvedimenti e bisogna quindi operare delle scelte. Toccherà pertanto al premier sciogliere questi nodi, come ha fatto del resto con la giustizia.

Dopo aver visto la situazione del Parlamento e del Governo, cosa si può dire riguardo il Quirinale, ora che si è entrati nel semestre bianco?

Il semestre bianco è stato erroneamente descritto quasi come un depotenziamento del capo dello Stato, ma in realtà non è così e credo che Mattarella sia ben determinato a farsi sentire ancora. La posizione ufficiale è quella per cui intende questo come il suo primo e ultimo mandato al Quirinale. Sappiamo però che il contesto è molto complicato, per cui quando tra qualche mese entrerà nel vivo la partita per l’elezione del presidente della Repubblica, se il Parlamento riterrà di dover mantenere Draghi a palazzo Chigi non è da escludere che, non essendoci maggioranze sufficienti alle viste, la soluzione più facile per i partiti, vista l’oggettiva difficoltà a trovare un altro candidato, sia quella di chiedere a Mattarella di accettare un nuovo mandato.

Al momento per il Quirinale si parla di Draghi o, appunto, di Mattarella. Tra i due esiste un dualismo?

No. Non dimentichiamo mai un dato di fondo: la soluzione Draghi è stata voluta da Mattarella in un momento complicatissimo della vita del Paese, alle prese con la pandemia. Questo rimane un punto fermo.

C’è qualcuno invece che non vuole la rielezione di Mattarella, visto il retroscena uscito proprio in questi giorni riguardante il mancato incarico esplorativo a Salvini del 2018?

Certamente, com’è stato anche scritto, Conte ha forse più interesse che Draghi passi da palazzo Chigi al Quirinale, perché questo potrebbe aprire la possibilità di elezioni anticipate.

Per quale ragione Conte potrebbe volere le elezioni anticipate?

Da un lato, potrebbe prendere in mano la leadership di M5s, dall’altro, non dovrebbe gestire fino al 2023 una transizione lunga e faticosa di un Movimento che non brilla certo per compattezza: tenere unito M5s fino all’inizio del 2022 è sicuramente più facile che farlo fino a metà del 2023.

(Lorenzo Torrisi)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI