“Preoccupazioni infondate”, “il testo del trattato è chiuso”, “comico che minacci la stabilità dell’Italia”: lo ha dichiarato ieri il ministro dell’economia Roberto Gualtieri nella sua audizione sul Mes davanti alle commissioni riunite Finanze a Palazzo Madama. Il ministro ha difeso la riforma del Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-Stati e dunque l’operato di Conte e Tria, che durante il governo gialloverde hanno negoziato l’adesione dell’Italia senza riferire al Parlamento.
Per Gualtieri la firma è vantaggiosa perché il Mes entra nella disponibilità del Fondo per le risoluzioni bancarie, “raddoppiandone” la portata; la ristrutturazione del debito non è automatica, né la modifica delle linee di credito precauzionali introdotta dalla riforma del Mes “attenta alla stabilità finanziaria dell’Italia”.
Le dichiarazioni del ministro hanno suscitato veementi proteste nell’opposizione, che adesso vuole che Conte riferisca in Aula.
Antonio Pilati, già componente del Cda Rai e dell’Autorità Antitrust, ha dedicato i suoi due ultimi saggi alle trasformazioni dell’ordine politico. Per lui il fondo salva-Stati è pericoloso eccome. “Economia stagnante, alto debito pubblico, confusione politica sono tutte condizioni che, messe in evidenza dai nostri partner, potrebbero facilmente innescare reazioni negative dei mercati e disinvestimento dai nostri titoli di debito pubblico”. In modo da indurre il nostro paese ad adottare la ristrutturazione, con buona pace del ministro dell’Economia.
La cosa è fatta e ce la dobbiamo tenere, ha detto Gualtieri. Ammesso che sia vero, cosa pensa del modo in cui il governo sta gestendo la riforma del Mes?
Tutto dipende dal modo cui le decisioni, le direttive, i trattati europei vengono recepiti dalla nostra politica e passano nella nostra legislazione nazionale. Storicamente, questo è sempre avvenuto all’estrema periferia della discussione pubblica e il Mes non sta facendo eccezione.
L’opposizione teme che la riforma porti a una ristrutturazione forzata del nostro debito. Sono timori giustificati?
Una delle caratteristiche del Mes è che i suoi fondi di finanziamento vengono dati anche a istituti finanziari e non solo agli Stati. Questo mi fa supporre che il primo obiettivo sia utilizzarlo per prevenire crisi bancarie con epicentro in Germania e poi in Francia. Però, nel mezzo di una recessione o di una fase di difficoltà dell’economia europea e mondiale, si accenderebbero subito i fari sul debito pubblico italiano. Economia stagnante, alto debito pubblico, confusione politica sono tutte condizioni che, messe in evidenza dai nostri partner, potrebbero facilmente innescare reazioni negative dei mercati e disinvestimento dai nostri titoli di debito pubblico.
Costringendoci a chiedere l’aiuto del Mes, che per intervenire imporrebbe la ristrutturazione del debito.
Esattamente. Significa che il Mes agisce ancor prima di sovvenzionare lo Stato a rischio.
C’è un dettaglio non trascurabile: il nostro debito pubblico è al 70 per cento detenuto dalle banche italiane.
Sì, e al tempo stesso i maggiori detentori esteri del nostro debito sono istituti francesi. Questo dà a Macron una leva negoziale pesante. Detto questo, non dobbiamo mai dimenticare il contesto nel quale si colloca questa vicenda.
Ci dica.
Da quando è scoppiata la crisi, o da quando la globalizzazione è diventata efficace e rampante, all’interno dell’Unione Europea prevale uno spirito di competizione tra gli Stati: Germania e Francia usano le regole europee per avere la supremazia continentale. Di questo in Italia abbiamo ancora poca coscienza.
Cosa può dirci della governance del Mes?
È proprio per questo che le ho citato il contesto politico. Il board del Fondo renderà più discrezionali gli interventi, facilitando l’azione sulle banche e la gestione dei rapporti “politici” con gli Stati destinatari.
Il Mes è il compimento del cosiddetto “vincolo esterno”?
Tutta la costruzione europea è un enorme vincolo esterno che ci condiziona. Il fatto è che, a differenza di quello che pensava chi ha lavorato per anni a costruire il vincolo esterno, abbiamo una struttura sociale e politica molto resistente all’allineamento con il modello mercantilista tedesco.
Non crede che il Mes sia anche e soprattutto una sistema per prevenire nell’area euro gli effetti di una crisi dell’euro medesimo, scontandone in anticipo le conseguenze?
Penso che abbia delle finalità più limitate; non vedo come potrebbe prevenire fenomeni di disgregazione. Questi sarebbero possibili, a mio modo di vedere, solo in presenza di traumi enormi, ad esempio una crisi come quella del 2008. A quel punto non saprei francamente cosa potrebbe succedere.
(Federico Ferraù)