Da oggi lunedì 22 luglio 2024 al prossimo 5 novembre mancano esattamente 115 giorni, in cui con puntualità quotidiana forse un po’ esasperata, non si farà altro che parlare di “crisi dell’ordine”, intendendo l’attuale drammatica difficoltà di stabilire una convivenza appena appena accettabile, in un quadro geopolitico che sembra tenere a stento, per gli scossoni terribili che accadono in diverse parti del mondo, sperando sinceramente di non cadere mai in quella che politicamente viene chiamata “rottura dell’ordine”.



In più, ieri sera è arrivato un altro colpo di scena, di cui non si conoscono bene i retroscena. Dopo consigli, voci e indiscrezioni, il Presidente Joe Biden si è ritirato dalla corsa alla Casa Bianca, ma al momento nessuno sa chi lo sostituirà nella corsa contro Donald Trump. Un fatto del genere che cosa può comportare a livello geopolitico mondiale? Tutto questo diventa un’altra incognita, per la confusione che sta regnando dal Pacifico al Mediterraneo.



Ragioniamo con quello che sappiamo sinora. La speranza è un fatto di elementare semplicità, rispetto a quello che potrebbe avvenire. Se dalla crisi si dovesse passare alla rottura, bisognerebbe innanzitutto gettare via circa un quintale di libri e ritornare a una lettura precisa di Tucidide, di Sun Tzu e soprattutto di Carl von Clausewitz. Se prendiamo la frase completa di Clausewitz nel suo celebre libro “Della guerra” vengono i brividi alla schiena: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra, dunque, non è solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.



E per liberarci di tutti gli incubi che confondono il nostro futuro, citiamo anche una risposta data da Lucio Caracciolo in una intervista alla Stampa solo una settimana fa, il 15 luglio: “Le guerre si scoprono mondiali dopo averle combattute; è stato così per la prima e per la seconda. Quando inizia non lo sai mai. Ma le guerre senza politica e senza diplomazia si espandono, mi preoccupa il non vedere oggi, né l’uno ne l’altro, tutto è affidato alle armi e tutto potrebbe succedere”.

Cerchiamo di comprendere perché in molti prevale un pessimismo che da anni non si conosceva, nonostante il tambureggiamento spesso evasivo o al limite della tifoseria, più che del calcolo politico, sopratutto nelle trasmissioni televisive e sui giornali che dovrebbero invece fare una puntuale opinione.

Cento giorni, riduciamoli così schematicamente, servono, sono sufficienti, per fare un salto di qualità che ponga delle condizioni per scongiurare una guerra? Ogni mattina ci sembra di essere costretti a leggere un bollettino di guerra che viene dal Medio Oriente, con le azioni di Israele, di Hamas e dell’Iran, oppure dalle incursioni in Ucraina e dalle risposte a suon di missili che arrivano ormai da Kiev fino alla frontiera russa, quando non la superano.

Guardiamoci intorno e vediamo che cosa può accadere in questo periodo fuori dalle logiche propagandiste.

La Francia, che oltretutto affronta una sorta di Olimpiadi blindate in questo periodo, è riuscita almeno a rieleggere la stessa Presidente dell’Assemblea Nazionale. Dopo tre turni di votazione, ha rieletto la candidata di destra di Renaissance Yael Braun Pivet per pochi voti di scarto rispetto al candidato del Nuovo Fronte Popolare, il comunista André Chassaligne.

L’elezione è stata possibile solo al terzo scrutinio quando è richiesto il parere positivo della maggioranza relativa e non quella assoluta come nelle due prime votazioni. Si noti che l’Assemblea è costituita da 577 membri. Considerati questi numeri, giudicato anche positivo il “cordone” contro il Rassemblement di Marine Le Pen, quale tipo di governo si propone di fare Emmanuel Macron, sapendo che in Francia sono sempre esclusi i governi di coalizione o i governi tecnici? È una scelta politica, rispetto alle necessità attuali, quelle che vive tutto il mondo?

Passiamo alle Germania dei prossimi cento giorni. I risultati delle ultime elezioni sono questi: 30,2 percento a Cdu e Csu; i neonazisti di Afd raggiungono il 15,9 percento e si colloca al secondo posto spopolando nell’ex Germania orientale.

Il grande partito di Willy Brandt e di Helmud Schimdt, che sta al governo con Olaf Scholz è sceso al minimo storico con il 13,9 e pure i verdi sono scesi al 10 percento.

C’è non solo la destra, ma anche una parte della Cdu che vuole nuove elezioni. Quindi (ci dispiace ripetere) quali garanzie offre a livello geopolitico la Germania e lo stesso asse franco-tedesco?

La stessa Italia, che ha confermato il centrodestra, dopo i dissidi interni e la contrapposizione alla Commissione Ue, che cosa può garantire?

Sostanzialmente, dopo la stessa riconferma di Ursula von der Leyen alla Commissione europea, si vede la debolezza di alcuni Paesi, la marginalità di altri e la confusione, per ora contenuta, della stessa Commissione.

Ma se tre Paesi fondatori dell’Ue, con i dissidi al loro interno e nella stessa Commissione, che garanzia politica e diplomatica possono offrire nel quadro geopolitico internazionale?

Pensiamo, infine, se fra cento giorni circa, Donald Trump vince alla grande (come sembra al momento e nonostante il ritiro di Joe Biden) le elezioni presidenziali, quali nuovi rapporti si stabiliranno con l’Europa? E, in queste condizioni a che cosa servirà l’Europa?

Si possono costruire nuovi missili intercontinentali, si può incrementare la forza della cosiddetta desistenza, ma alla fine arriverà il momento del chiarimento: o a un tavolo di trattative credibili e serie oppure sul campo.

Per essere realisti, si può dire che in una simile situazione la crisi dell’ordine è a un dito dalla rottura dell’ordine con tutte le conseguenze che ne deriveranno.

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