Tutti i commentatori che negli ultimi mesi hanno ripetutamente teorizzato non esserci alcuna alternativa alle elezioni anticipate, hanno ora finalmente qualcosa di concreto a cui appigliarsi: il discorso del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Nonostante sia trascorso esattamente un anno dalla nascita del governo giallo-verde, e che per l’intera sua durata il premier Conte non abbia fatto altro che fare da paciere tra i due discoli vice-ministri, la sortita di ieri è apparsa a costoro il canto del cigno, un atto di libertà, un sussulto di orgoglio, la prova che il riformismo vive in ognuno di noi.



Così Conte si è meritatamente visto incoronare leader di quel tanto auspicato “partito del presidente” di cui molti orfani dei bei tempi andati sentivano la mancanza.

Vedremo tra pochi giorni – con buona pace di Giuseppe Conte – quanto ancora sia solida l’intesa tra Salvini e Di Maio. E che fine farà lo stesso Conte. Non c’è da aspettare tanto.



Quelli che però davvero risultano essere sempre più fastidiosi e difficili da digerirei sono quei cori da tragedia greca che si levano nel nostro paese quando si avvicina ogni anno la nuova legge di bilancio e si invoca il severo giudizio dell’Europa.

Intanto conviene ricordare che in questo momento è proprio l’Europa ad essere senza un governo legittimo. Per essere più precisi, quelli che si esprimono sono gli esponenti di una Commissione ormai scaduta – da Juncker a Moscovici – e duramente  bocciata dal voto dei cittadini di tutta Europa. Diciamo la verità, sembrano più gli emissari imposti dai cosiddetti “burocrati di Bruxelles” che governanti espressione del voto popolare.

Senza contare che anche la trattativa con il Regno Unito è stata gestita così male che molto probabilmente nei prossimi mesi più che i conti italiani ci sarà da mettere a posto le casse dell’Unione, da cui mancheranno oltre 40 miliardi di sterline che troppo frettolosamente si pensava essere il conto da far pagare ai cittadini di sua Maestà.

E cosa accadrà nei prossimi mesi se si voterà anticipatamente nella solida Germania, dove gli attuali partiti di governo sono surclassati nei sondaggi dall’esplosione elettorale dei Verdi, forza di sicura ispirazione europeista ma tra le più lontane dalla cultura dell’austerità imposta in questo decennio dalla Cdu di Schäuble e Merkel.

Infine la stessa sinistra europea che fa capo al Pse è uscita profondamente trasformata rispetto ad appena 5 anni fa. I 5 ragazzotti in camicia bianca (Renzi, Valls, Sanchez, Post e Samson) che si esibirono nel 2014 a Bologna in una versione ottimistica e liberista del futuro, hanno lasciato il posto a leader marcatamente di sinistra e che hanno faticosamente – ma anche con qualche successo, come in Danimarca – riportato il baricentro dei loro partiti nel più tradizionale alveo del socialismo democratico. Buon ultimo il Pd in Italia, ora guidato dal socialdemocratico Zingaretti.

Salvini sicuramente starà facendo i suoi calcoli e si starà ponendo la fatidica domanda: rischio di più ad andare avanti così o mi conviene provocare elezioni anticipate e portare in Parlamento una Lega primo partito?

Se fossi in lui rifletterei e valuterei con attenzione il da farsi. Anzi, valuterei con attenzione anche quello che non è proprio il caso di fare.

Sicuramente non ci vuole uno stratega particolarmente arguto per capire che non è così semplice trasformare il 34% delle europee (raccolto con più di 7 milioni di elettori rimasti a casa) in una vittoria schiacciante alle politiche nazionali. Ma soprattutto risulta difficile immaginare uno scontro elettorale condotto dalla Lega senza la copertura delle truppe pentastellate, che sembrano oggi essere particolarmente fedeli all’attuale governo. Sono consigli non richiesti, ma forse a Salvini conviene giocarsi la carta di attendere cosa succede in Europa prima di aprire il “fronte italiano”. Ancora una volta le difficoltà in cui si dibatte l’Unione Europea faranno da paravento alle difficoltà italiane, e ancora una volta chi governa il nostro paese avrà gioco facile a scaricare ogni responsabilità su leader europei troppo deboli e compromessi.