Cosa c’entra Qassem Soleimani con Giuseppe Conte? Nulla sul piano personale (oltre che culturale, religioso, nazionale), molto invece su quello politico. In primo luogo, perché l’attacco americano che ha ucciso il signore della guerra iraniano riaccende la polveriera mediorientale, provocando una tensione politica e militare altissima in uno scacchiere decisivo per l’Italia; in secondo luogo, perché Roma ha un rapporto privilegiato con Teheran e perché il Movimento 5 Stelle si è sempre dichiarato comprensivo con il regime degli ayatollah se non proprio vicino come ha detto apertamente Alessandro Di Battista e come ha dichiarato più volte Beppe Grillo (e non solo perché è sposato con una iraniana). L’imbarazzata reazione della Farnesina guidata, se fa per dire, con mano incerta da Luigi Di Maio, è eloquente. Non è che il Partito democratico abbia fatto una grande bella figura con Nicola Zingaretti che balbetta su una improbabile chiamata in causa dell’Unione europea, tuttavia i grillini sono messi molto peggio.
Così, la nuova tempesta geopolitica s’aggiunge alla tempesta domestica che vede sfarinarsi più rapidamente del previsto il M5S. E la verifica sul programma annunciata prima di Natale rischia di diventare, con il nuovo anno, una verifica politica a tutto campo.
Il presidente del Consiglio ha paura di far la fine di Romano Prodi che in meno di due anni dalla vittoria elettorale del 2006 alla clamorosa sconfitta del 2008 è stato impallinato, logorato e poi affondato dalle liti dei partitini che lo sostenevano, a cominciare da Rifondazione comunista. Conte non ha torto, tra M5S, Pd, Italia Viva, Leu, il disaccordo è davvero trasversale.
Già subito dopo l’Epifania i giallorossi dovranno affrontare il complicato nodo della prescrizione e della ragionevole durata dei processi. Un appuntamento che arriva in “ritardo”, poiché la riforma della prescrizione sarà già entrata in vigore nonostante la ferma contrarietà dei renziani e le numerose perplessità in casa dei democratici. Ma la tenuta di esecutivo e maggioranza sarà messa a dura prova anche da altri dossier, tutti ad alto rischio: dalla legge elettorale ai referendum, dal decreto Milleproroghe approvato dal Consiglio dei ministri “salvo intese” al complicato tema delle concessioni autostradali, dalla possibile revisione dei decreti Salvini sulla sicurezza alla vicenda Alitalia, fino al voto in Giunta del Senato sul caso della nave Gregoretti.
Tra i possibili nodi sul tavolo della verifica le misure quota 100 e reddito di cittadinanza, messe in discussione dal Pd ma difese sia da Conte che dai 5 stelle, e la revisione dei due decreti Salvini per recepire le preoccupazioni espresse dal presidente Mattarella. Altro tema su cui finora la maggioranza non è riuscita a trovare un accordo è la riforma della legge elettorale. Mercoledì prossimo dovrebbe incardinare in commissione Affari costituzionali della Camera il testo del nuovo sistema di voto, ma ciò presuppone che la maggioranza riesca a raggiungere l’intesa su uno dei due modelli prescelti: ovvero, un proporzionale sul modello spagnolo o un proporzionale con sbarramento nazionale al 5%. Su entrambi, però, pesa il veto di una delle forze che sostengono il governo: lo spagnolo non è ben accetto dai renziani, il 5% non piace a Leu.
Il disaccordo è molto ampio anche sui dossier industriali. La grana più immediata riguarda le concessioni autostradali. Il Pd sembra ormai convinto che la revoca della concessione all’Aspi sia inevitabile, ma non è d’accordo che diventi una sorta di “esproprio popolare” come la propaganda dei cinquestelle vuol far credere. Ma le prime avvisaglie della trattativa sull’indennizzo mostra quanto rischia di essere costoso e scivoloso. I giornali hanno parlato di sei miliardi di euro, Di Maio vorrebbe rimborsare solo i mancati utili meno gli investimenti non fatti, i conti di Atlantia dicono 23 miliardi di euro che saranno la posta in gioco di un contenzioso giudiziario ad altissimo rischio per lo Stato, cioè per i contribuenti.
Non solo: Anas che dovrebbe subentrare in prima battuta ha già chiesto, com’era prevedibile, lo scudo penale. Guarda un po’, come Arcelor Mittal per l’Ilva. Allora non era una scusa. Vacilla, se non crolla del tutto, l’argomento con il quale il governo sotto la spinta dei grillini volevano mettere la multinazionale franco-indiana con le spalle al muro. Un altro segnale di quanto sia superficiale e improvvisata (oltre che viziata ideologicamente) la gestione delle crisi industriali.
Il caso Alitalia ne è l’ulteriore palese dimostrazione. Il salvataggio si sta ancor più ingarbugliando: la nomina del commissario scelto dal governo, Giuseppe Leogrande, esperto di fallimenti, potrebbe essere bloccata per vizi di forma, nel frattempo si stanno sfilando uno dopo l’altro i possibili partner del salvataggio. Il governo dovrebbe fare chiarezza anche su questo, ma le idee sono quanto mai confuse e non esiste una linea condivisa.
Confusi e divisi sono i partiti anche sui due provvedimenti chiave del governo giallo-verde: quota 100 e reddito di cittadinanza. Si sono dimostrati un flop rispetto alle aspettative suscitate e hanno provocato effetti distorsivi sul mercato del lavoro sia in entrata (abusi a parte, una percentuale minima ha trovato lavoro com’era del resto prevedibile), sia in uscita con effetti deleteri in molti settori, a cominciare dalla Pubblica amministrazione, dove la pensione anticipata ha avuto maggior seguito (e anche questo era prevedibile). La logica economica dovrebbe consigliare di rivederli, se non proprio abolirli destinando ad altro le risorse stanziate, però la logica politica lo impedisce e lo stesso Conte non vuole sconfessare se stesso.
Ultimo, ma certo non per importanza il dossier che dovrebbe caratterizzare il 2020: il fisco. Ad agosto arriverà la pioggia di micro-imposte, intanto bisogna mettere fino in cascina per i 47 miliardi di Iva che bisognerebbe pagare tra il 2021 e il 2022, mentre occorre rendere effettiva la riduzione del cuneo fiscale: 500 euro in busta paga a partire dal secondo semestre dell’anno, mille nel 2021. Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri vuol fare presto, ma solo nei prossimi giorni comincerà il confronto con i sindacati. In quali condizioni arriverà la maggioranza di governo alle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, indette per il 26 di questo mese, che l’opposizione di destra ha già dipinto come l’armageddon giallo-rosso?