Annoto con soddisfazione che la percezione del rischio politico relativo alla coesione dell’Ue che si è impennata nella settimana dopo le elezioni europee tende a ridursi entro parametri realistici. Il mio gruppo di ricerca si è unito nei giorni scorsi agli attori finanziari, e loro consiglieri, che suggerivano parametri valutativi, appunto, realistici e non isterici: non c’è un rischio di finis Europae sul piano della politica interna dell’Ue pur non escludendo brevi momenti di turbolenza. Tuttavia, questa posizione ha portato maggiore attenzione – nei videoincontri tra think tank – su: a) la capacità prospettica dell’Ue ed Eurozona di aumentare la convergenza economica delle sue nazioni; b) di produrre una sufficiente deterrenza contro l’aggressività della Russia; c) di incrementare/difendere la competitività globale delle sue aziende; d) di includere nell’Ue altre nazioni.



Nelle interlocuzioni ho premesso una visione macro sul comportamento tipico delle democrazie misurabile da quasi un secolo, pur con alcune eccezioni: tendono a reagire con compattazione di fronte a rischi sistemici pur avendo difficoltà ad agire per prevenirli a causa delle varietà di opinioni interne. Semplificando, le democrazie tendono a reagire in modi forti ai rischi solo quando prendono evidenza, ma quando questa c’è agiscono. Ciò permette di ipotizzare con probabilità prevalente le risposte alle incognite di scenario.



Prima: pur difficile che si arrivi a una convergenza confederale dell’Ue e a un un’unione del mercato dei capitali, vi saranno convergenze, via compromessi, su programmi specifici che miglioreranno la coesione di Ue ed Eurozona. Intravedo la riedizione del metodo funzionalista – adottato dalla Comunità fino a prima del Trattato di Maastricht (1992) che generò l’Ue – che privilegiava il pragmatismo. Seconda: la Nato resterà solida, i timori di una presidenza Trump sono esagerati perché anche l’americanismo si rende conto che senza Europa l’America perderebbe centralità globale. E viceversa. Terza: il sistema economico europeo è meno arretrato di quanto si pensi, pur avendo un gap di scala e di capitalizzazione delle innovazioni, e troverà spazio di crescita nel consolidamento del G7. Quarta: la tendenza inclusiva dell’Ue toccherà gradualmente i Balcani e nel medio periodo è probabile porti a un trattato di libero scambio con il Regno Unito e a un rafforzamento delle relazioni economiche con le nazioni del Mediterraneo costiero e profondo, questo spinto molto dall’Italia e dall’America.



In generale, appare oggi più probabile nello scenario di deglobalizzazione conflittuale e riglobalizzazione selettiva che la seconda attuata dall’alleanza delle democrazie sarà grande abbastanza per compensare i problemi della prima, pur inevitabili le turbolenze causate dalla configurazione bipolare del globo. Pertanto raccomando agli attori finanziari di mettere un limite al pessimismo, pur in una logica prudenziale, e di dare più spazio all’ottimismo.

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