Si avvicina l’appuntamento del 24 gennaio, allorquando il Parlamento si riunirà in seduta comune per eleggere il nuovo capo dello Stato. Al momento, l’unico candidato ufficiale in campo resta Berlusconi. Draghi, nella sua ultima conferenza stampa di lunedì relativa agli ultimi provvedimenti presi per contrastare la diffusione dei contagi da Covid, ha subito preferito annunciare la volontà di non rispondere a qualunque tipo di domanda sul Quirinale, ma nelle sue parole c’è stato comunque un chiaro messaggio politico. Come ci spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore, Guido Gentili, «il Premier ha richiamato più volte l’elemento costitutivo alla base del suo Governo: l’unità nazionale. Ha difeso l’attività dell’Esecutivo spiegando che sulle materie importanti si è cercata sempre l’unanimità e questo spiega gli accordi, che non ha definito compromessi, che sono stati trovati sui diversi provvedimenti».



Questo vuol dire che, qualora non fosse eletto al Quirinale, potrebbe restare a palazzo Chigi senza problemi?

No. Secondo me, Draghi con le sue parole ha messo un paletto: lui si sente legato a doppio filo al Governo di unità di nazionale. Ha fatto quindi capire, come del resto aveva fatto nella conferenza stampa di fine anno, che una maggioranza più ristretta, come per esempio la coalizione Ursula, per lui non andrebbe bene.



I partiti, nel momento in cui chiedono a Draghi di restare a palazzo Chigi, sembrano voler confermare questa esperienza di unità nazionale. Al di là delle dichiarazioni, c’è l’effettiva volontà di andare avanti?

A mio modo di vedere, al di là di tutte le chiacchiere, la ragione che spinge i partiti a chiedere a Draghi di restare a palazzo Chigi è il timore che altrimenti si possa andare a elezioni anticipate. A parte la Meloni, nessuno le vuole davvero, nemmeno Salvini. Per evitarle ci vuole un Governo e quello di unità nazionale esiste già e per un anno può rimanere più facilmente in pista.



Ci vorrebbe una sorta di patto di fine legislatura?

Certo. Anche perché senza elezioni anticipate si andrebbe comunque al voto nel giro di un anno. Ci sarebbero quindi forti pressioni da parte dei partiti e Draghi è forse l’unica persona che potrebbe garantire che vengano prese misure che non siano di totale deriva elettoralistica negli ultimi mesi di legislatura. Questo, però, significa trovare parallelamente una soluzione per il Quirinale che garantisca l’operato del presidente del Consiglio. E di fronte all’impasse attuale viene automatico pensare che se Draghi deve rimanere a palazzo Chigi, probabilmente la soluzione migliore è che anche chi gli ha affidato quel tipo di incarico, con quel tipo di maggioranza, cioè Mattarella, resti al suo posto.

Questa impasse sembra dipendere anche dalla posizione assunta da Berlusconi.

Fino a qualche giorno fa si poteva pensare che la sua fosse una candidatura di bandiera, ma proprio le dichiarazioni arrivate quasi in contemporanea alla conferenza stampa di Draghi e l’intervista al Corriere della Sera di Tajani di oggi (ieri per chi legge, ndr) mostrano quanto Berlusconi sia determinato. Non si può però dimenticare che la risposta del centrosinistra alla sua candidatura è un secco no.

Il che porta a pensare che una sua elezione non consentirebbe automaticamente di lasciare Draghi a palazzo Chigi…

Nel momento in cui Berlusconi non venisse eletto sulla base di una larghissima condivisione, ma da una maggioranza più ristretta rispetto a quella che fin qui ha sostenuto il Governo, ciò costituirebbe un problema dato che Draghi ha fatto capire di essere legato a questa esperienza di unità nazionale.

C’è una sorta di scontro tra Berlusconi e Draghi? Di fatto il primo frena l’ascesa al Colle del secondo, il quale, con le sue ultime dichiarazioni, sembra fare altrettanto…

Francamente non so dire se ci sia questo scontro. Sappiamo che, sebbene pare su consiglio di Gianni Letta, è con Berlusconi al Governo che Draghi è andato prima alla guida della Banca d’Italia e poi della Bce. Si è quindi sempre parlato di un buon rapporto personale tra i due. Di certo oggi non sembra esserci quella concordia che abbiamo visto meno di un anno fa nelle immagini del loro incontro molto cordiale avvenuto nella fase dei colloqui che hanno preceduto la formazione dell’esecutivo. Oggettivamente quel clima pare non esserci più.

È difficile pensare che Berlusconi non sappia che ha poche chance di essere realmente eletto senza che ciò non abbia ripercussioni importanti. Secondo lei, che strategia ha in mente?

Si era detto che una possibile strategia di Berlusconi fosse quella di fare un passo indietro per diventare il kingmaker dell’operazione per portare Draghi al Quirinale, ma dopo le sue ultime dichiarazioni è un’ipotesi che va tolta dal tavolo. Non so quindi dire cosa possa avere in mente. Forse la strategia potrebbe essere quella di rimettersi alla possibilità che Mattarella possa essere rieletto. Di fatto resta l’opzione che toglie le castagne dal fuoco a tutta la politica, un modo per evitare lo stallo in cui rischia di finire. Credo che anche Salvini, se vuole evitare il voto anticipato, sia pronto ad aprire a un bis di Mattarella.

In questo può essere d’aiuto il silenzio che c’è da parte del centrosinistra, dove non si fanno ancora nomi ufficiali?

Il silenzio mi sembra che in questa partita conti molto. Per esempio, Enrico Letta, intervistato da Repubblica, ha detto che si sentirebbe triste il giorno in cui Mattarella dovesse lasciare il Quirinale. Gli è stato quindi chiesto se sarebbe contento di una sua permanenza al Colle e lui ha risposto: “Mi fermo qui”. Questo è un silenzio con un sottinteso molto importante. Come quello di cui ha parlato nei giorni scorsi Marzio Breda, decano dei quirinalisti, intervistato dal Domani. Ha spiegato infatti di aver posto “in alto” la questione di un eventuale bis di Mattarella. “Se la pandemia ridiventasse un’emergenza, se il quadro politico si andasse spappolando, potrebbe rifiutare? Ho raccolto un eloquente silenzio”, ha detto Breda. I silenzi quindi contano e la partita non a caso è ancora aperta.

La soluzione Mattarella-bis aiuterebbe anche rispetto alla serie di misure, tra cui i nuovi ristori e i provvedimenti contro il caro bollette, che ora vengono messe in stand by dalla corsa del Quirinale e che rischiano di slittare sostanzialmente di un mese nel caso venga eletto un Presidente con una maggioranza risicata?

Non c’è dubbio. Anche perché, come ho detto in una precedente intervista, l’elezione di Mattarella dovrebbe avvenire al primo scrutinio. Draghi, nella conferenza stampa di lunedì, si è mostrato molto prudente rispondendo alle domande su nuovi scostamenti di bilancio. A parte la riforma fiscale e il confronto aperto con i sindacati sulla riforma delle pensioni, ci sono fortissime richieste da parte delle imprese sia per il tema dei costi energetici che per le garanzie statali sui prestiti bancari, ma nei giorni scorsi anche il ministro Franco, d’accordo evidentemente con il Premier, ha fatto capire che prima della votazione del capo dello Stato non si faranno altri decreti impegnativi e con forti scostamenti di bilancio, dopo quelli già compiuti negli ultimi due anni. È chiaro quindi che una soluzione di continuità renderebbe tutto più fluido. Anche perché se il nuovo Presidente venisse eletto da una maggioranza ristretta si aprirebbe una sorta di verifica con lo stesso Draghi dato che lui stesso ha fatto capire di essere legato a questa maggioranza.

Quanto tempo c’è per arrivare a un accordo sul nome di Mattarella?

Se la situazione rimanesse ancora bloccata come oggi, anche alla vigilia del 24 gennaio. Diventerebbe anche un’opzione apprezzata dall’opinione pubblica di fronte all’emergenza Omicron al posto di liti e veti incrociati tra i partiti.

Il fatto che all’inizio dell’anno un gruppo di Senatori M5s abbia chiesto il bis a Mattarella non “brucia” il suo nome?

Non credo. Quella richiesta va considerata più come legata alle vicende interne al Movimento 5 Stelle, dove ancora non è chiaro quale sia la direzione di marcia in termini di leadership.

(Lorenzo Torrisi)

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