Un piano Marshall per l’energia, a cominciare dal gas: l’annuncio che gli Stati Uniti riforniranno l’Europa suscita speranze e rievoca i ricordi della Seconda guerra mondiale quando gli Usa, maggiori produttori mondiali di greggio, rifornivano l’Inghilterra e stringevano un accordo con l’Arabia di Ibn Saud (petrolio in cambio di armi) che dura ancora. Joe Biden a Bruxelles ha detto che Washington fornirà 15 miliardi di metri cubi entro la fine dell’anno per arrivare a 50 miliardi nel 2030. L’intenzione è buona, il segnale politico è chiaro e forte, la quantità resta ancora modesta. L’Italia da sola consuma 70 miliardi di metri cubi l’anno, il 43% dei quali importati dalla Russia. Insomma, prende da Gazprom circa il doppio di quanto manderanno gli americani.
Non si tratta di sminuire la svolta energetica, ma per far fronte alla crisi provocata dall’invasione russa in Ucraina i Paesi europei, in particolare Italia e Germania, dovranno contare sulle proprie forze. Tanto più se arriverà tra un paio di mesi l’embargo verso il petrolio di Mosca e poi sia pur gradualmente, anche per il metano.
Il Consiglio europeo di giovedì e venerdì si è chiuso come al solito con un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dei punti di vista. Mario Draghi ha spinto molto per ottenere tre risultati: acquisti e stockaggio comuni, un tetto ai prezzi e un ricalcolo della bolletta elettrica in modo che il gas non sia più dominante. Sul primo aspetto ci sono stati impegni che possono essere considerati seri e il capo del Governo italiano è soddisfatto. Sul tetto è emersa una spaccatura che ha rasentato la crisi aperta quando Pedro Sanchez ha minacciato il veto. Il Primo ministro spagnolo, sostenuto dal Portogallo e dall’Italia, ha spinto molto sul limite agli aumenti. La Commissione Ue si è impegnata a presentare entro maggio una serie di opzioni per vedere se e come imporre un tetto. Madrid e Lisbona si sono impuntate e hanno ottenuto un’eccezione nazionale, cioè potranno andare avanti per proprio conto. Che farà il Governo italiano? Anche sul modo di calcolare il prezzo dell’elettricità il dossier è aperto, ma non è affatto chiaro quando, come e se verrà chiuso. Insomma, possiamo dire che per Draghi il bicchiere è mezzo vuoto e questo lo mette di fronte alla necessità di varare al più presto un piano energetico robusto e coraggioso che non escluda misure di austerità.
Il Governo l’ha già fatto capire e il ministro Roberto Cingolani sta in qualche modo preparando l’opinione pubblica: quando dice che ci vorranno tre anni per liberarci dal gas russo e che non possiamo più scartare l’utilizzo dell’energia nucleare sfida gli ambientalisti e i grillini, sull’altare del realismo e della sincerità. Ma non bastano i messaggi, tanto meno gli annunci o i dibattiti televisivi, occorre mettere nero su bianco le priorità e i mezzi per raggiungerle. Il Governo è orientato a una sorta di razionamento del gas nel prossimo inverno “se e quando ce ne sarà bisogno”. Fare dell’allarmismo è controproducente, non sappiamo quanto durerà la guerra, né come andrà a finire, e questa è la variabile fondamentale. Tuttavia, arriva il momento di definire quel se e quel quando. Draghi e Cingolani hanno annunciato il ricorso a fonti e approvvigionamenti alternativi: gas liquefatto dal Qatar oltre che dagli Stati Uniti, rigassificatori in mare, aumento del flusso dai metanodotti con l’Algeria, la Libia, il Mare del Nord e il Caspio attraverso il Tap. Tuttavia, si tratta ancora di impegni da realizzare e quantificare.
Attenzione, per il momento il gas continua ad arrivare dalla Siberia e se Vladimir Putin vuole che lo paghiamo in rubli non ci saranno ostacoli all’afflusso. Forse cambierà il costo, però rubli in giro non ce ne sono, quindi l’Eni continuerà a pagare in dollari non più a Gazprom, bensì alla banca centrale la quale li cambierà in moneta nazionale che verserà a Gazprom. Paradossalmente i problemi maggiori saranno proprio per l’azienda russa che si vedrà privata, per ragioni politico-militari, di valuta pregiata. Ma se verranno chiusi i rubinetti, o da Putin o dall’Ue, è chiaro che saranno guai. Non siamo pronti, questo è evidente. Ecco perché bisogna varare un piano preciso da discutere in Parlamento e nel Paese, senza paura di scontrarsi con il muro dei No. Sul tetto ai prezzi Draghi vuole attendere le decisioni europee, ma monterà la pressione perché faccia valere anche in Italia l’eccezione iberica.
Tutti debbono fare un bagno di realtà. La crisi c’è, l’invasione dell’Ucraina ha gettato benzina sul fuoco dell’inflazione e ha depresso la crescita. Fare previsioni a questo punto è del tutto azzardato, l’Ocse stima un taglio medio dell’1,4%, per l’Italia si calcola un aumento del Pil attorno al 3%, ma se il conflitto non finisce andrà ancora peggio: i più ottimisti si orientano sul 2%, i pessimisti vedono già crescita zero a fine anno. Meglio non partecipare a questo gioco pericoloso, vedremo quali cifre scriverà Daniele Franco sul Documento di economia e finanza che il ministro sta preparando. L’unica cosa certa è che dovremo abituarci a una nuova versione della tanto deprecata austerità sulla quale ci si siamo accapigliati quando in giro pascolavano ancora le vacche grasse.
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