Il caso della Banca Popolare di Bari continua a tenere banco, anche dal punto di vista politico, visto che è stata data un’accelerata alla nascita della commissione d’inchiesta sulle banche. Nascita che non sembra semplice stante la difficoltà a individuare chi la dovrà presiedere data l’indisponibilità di Elio Lannutti a fare un passo indietro dopo che è emerso che il figlio lavora proprio presso la PopBari. Tutta questa vicenda rischia di creare dei problemi a una già fragile maggioranza? «Certamente sì. Non dobbiamo dimenticare anzitutto le vicende bancarie che riguardano Italia Viva e il Pd. È stato il Governo di Matteo Renzi a varare il decreto sulle popolari ed è nota la frase “Abbiamo una banca” di Fassino ai tempi del caso Unipol», risponde Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
E per quanto riguarda i 5 Stelle?
Le politiche anti-industriali del Movimento 5 Stelle non hanno aiutato e non aiutano un’economia come quella pugliese. Ed è chiaro che se l’economia viene frenata questo diventa un problema anche per le banche di quel territorio, come la Popolare di Bari. Adesso poi c’è tutto il caso su Lannutti.
Lei cosa pensa in merito?
Dal mio punto di vista ha ragione chi critica la sua eventuale nomina, al di là della vicenda sul tweet antisemita. Il moralismo dei 5 Stelle ora gli si sta ritorcendo contro.
È stato giusto l’intervento del Governo sulla Popolare di Bari?
Salvare la banca con un miliardo è sicuramente la soluzione migliore e più conveniente. Come spiegava già Einaudi, infatti, quando una banca è a rischio bisogna intervenire al più presto per salvarla ed evitare un serio contagio al sistema creditizio, che colpirebbe in particolare i piccoli istituti. Credo sia invece sbagliata l’idea di creare una sorta di grande banca di investimento del Sud, perché un istituto di piccoli depositanti non può trasformarsi in una banca di investimento. Semmai l’obiettivo deve essere creare una buona banca del territorio.
Torniamo un attimo alle difficoltà che questo caso crea per la maggioranza…
Salvini e Renzi hanno tesi opposte a quella dei 5 Stelle, che a loro volta litigano con i democratici. I due nemici, i due Mattei, diventano amici perché entrambi hanno un nemico comune. È un caso quindi esplosivo. Che esploda o no politicamente è da vedersi, nel senso che spetta a Mattarella decidere. Dal mio punto di vista dovrebbe staccare la spina perché queste continue liti costano all’Italia, ai contributi, ai risparmiatori.
Al di là di questa vicenda bancaria, crede che ci siano altri elementi che possano far convergere gli interessi dei due Mattei?
Con la sua proposta di “comitato di salvezza nazionale”, Salvini rende possibili azioni comuni. Renzi, trovandosi isolato nella maggioranza, potrebbe avere interesse ad aderire. Questa alleanza ha grosse prospettive, per esempio su un tema importante come quello dell’ex Ilva. E del resto anche quanto evidenziato dalla Commissione europea l’altro giorno aiuta la formazione di questa alleanza.
In che modo?
Quanto affermato da Bruxelles, da Dombrovskis e Gentiloni, è banale, ma è ovvio e sacrosanto: un Paese che ha un livello di debito pubblico crescente sul Pil e con un mercato del lavoro ingessato è destinato ad andare male. Perché le due cose insieme generano una situazione destinata a non funzionare, specie quando non si fanno nemmeno investimenti infrastrutturali. Non aumenta la produttività, non aumentano i consumi, il sistema pensionistico diventa meno sostenibile e questo non aiuta il contenimento del debito pubblico su Pil.
Salvini e Renzi devono comunque fare i conti con i numeri che hanno in Parlamento. Il loro obiettivo sarebbe quindi ottenere il voto anticipato?
Salvini non persegue questa strategia per avere elezioni anticipate, ma per presentarsi come moderato a livello europeo. Lui vuol fare un’azione che gli consenta di avere il consenso di un’area più vasta rispetto all’attuale. Questo Matteo ha smesso di stare al Papeete. Tutto il centrodestra e Renzi, che è costretto a giocare in difesa, hanno la possibilità di rendere possibile il prosieguo della legislatura solo se venissero approvati provvedimenti a loro graditi. A questo punto è il Presidente della Repubblica che deve scegliere se preferire un sistema in cui non si riesce a realizzare né l’unità nazionale, né il governo oppure adottare una situazione di emergenza o ancora andare al voto. Ovviamente se si scegliesse la seconda opzione il capo del Governo non potrebbe più essere Conte, ma un mediatore, che sia Draghi, di cui si è già fatto il nome, o qualcun altro.
(Lorenzo Torrisi)