Stefano Folli, il tanto acuto editorialista e commentatore delle vicende politiche italiane, ha sottolineato, su La Repubblica del 14 gennaio 2021, che è essenziale aver ben presente ciò che succede nell’Ue per comprendere quale sia la posta in gioco in un’Italia protesa all’elezione del Presidente della Repubblica. Folli ha ricordato che l’Eurogruppo ha lanciato all’Italia l’avvertimento di poter incorrere nelle “misure del caso” per non aver assunto le decisioni attese in merito al famoso, famosissimo, Mes, su cui tanto si discusse, per dimenticarcene poi del tutto.  



Certo, l’Italia non è sola in questo ritardo, ma quell’avviso ai naviganti è un preludio di ciò che potrebbe accadere se nel corso dell’implementazione del Pnrr si incorresse nelle prevedibili incompletezze attuative, che già sono previste da molti e che fanno, a molti, ancora tremare i polsi. A questo dobbiamo aggiungere gli interventi che protagonisti attivi della politica dell’austerità lanciano come deterrenti. Così, per esempio, ha fatto Ignazio Angeloni su Il Sole 24 Ore pochi giorni or sono, ricordando che le politiche restrittive e il rialzo dei tassi si stagliano di nuovo all’orizzonte, checché ne pensino Macron e Draghi e gli “economisti di corte”. Comprendiamo bene, allora, che il populismo ordoliberistico, ossia la politica economica già in atto in Italia a tutto spiano, quella che dà sussidi a destra e manca, stropicciandosene del debito pubblico dopo averlo eletto per anni a dogma infallibile, inizia a creare delle resistenze in quei settori dell’establishment capitalistico europeo organici al blocco di potere sino-tedesco di cui ho scritto in un mio precedente articolo sul Sussidiario. 



È uno scontro che sta per aprirsi con violenza: una violenza polemica che riflette il conflitto che va delineandosi tra le due “Ue”: da un lato quella dei rigoristi che si adattano ora ai nuovi tempi e dall’altro quella di coloro che non si adattano e che ancora controllano gli snodi istituzionali della macchina burocratica del governo europeo dell’Ue. 

Eppure, qualcosa si muove. L’esempio preclaro, oltre al documento congiunto Macron-Draghi, è quello del programma del nuovo Governo olandese, proteso sempre più a un destino atlantico e alla rottura con il blocco sino-tedesco, così come vogliono fare i seguaci dei Macron e dei Draghi. Sempre guidato, il Governo olandese, dallo stesso premier Rutte, dopo 273 giorni di negoziazione (e quindi non c’è solo l’Italia ad aver personaggi per ogni stagione o per ogni commedia dell’arte). L’Olanda rappresenta il blocco di comando strategico per il dominio dei mari e dei suoi commerci che sta ora virando in guisa atlantica e non più sino-tedesca. Essa ha dato vita a un programma di governo che fa del debito pubblico il punto archetipale di una nuova costruzione (instabile, certo) della politica economica non solo olandese, ma, in prospettiva, di tutta l’Europa. 



Il tutto accade, però, mentre nessuno mette in discussione l’architrave della costruzione ordoliberista, ossia la divisione istituzionale, create ad arte, tra politica monetaria e politica fiscale. Divisione che tutto determina e che definisce lo spazio di manovra ristrettissimo su cui si fonda l’assenza di una vera banca centrale in Europa, a differenza di ciò che accade, come è a tutti noto – ma da tutti dimenticato – negli Usa. Stati Uniti che non a caso si contrappongono alla deflazione secolare europea, che da questa assenza di una banca centrale e da quella divisione tra politica monetaria e politica fiscale deriva. 

Insomma, mi pare di poter dire che il tono dominante in Europa e in primis nell’Ue di oggi sia quello del timore, del tremore, della paura e del nervosismo. Perché? Non c’è solo la pandemia. Ci sono le previsioni molto negative del Fondo monetario internazionale sull’economia mondiale, con le nazioni che un tempo si definivano in via di sviluppo ora colpite da una recessione che appare di già fortissima, non essendo ancora riuscite a superare il declino pandemico brutale e mortale che le ha investite. E poi c’è il divario crescente su cui il Financial Times, sempre il 14 gennaio 2021, pone l’accento: ossia la diversità nei ritmi di crescita e di innovazione che si stagliano dinanzi a tutti coloro che vogliono riflettere su ciò che accadde nel mondo delle grandi corporations tra Usa da un lato ed Europa dall’altro, con la iper-regolazione dell’Ue che si disvela essere un formidabile freno alla crescita economica, non solo del Vecchio continente, ma di tutto il mondo. Insomma: i populisti alla Macron e alla Draghi cercano di turare la falla che si è aperta nella carena della nave dell’Ue con il dito nel buco dell’espansione dei debiti e dei sussidi. Un rimedio che ha scatenato l’ostilità di quella parte delle classi agiate capitalistiche che non posseggono la flessibilità imperiale degli olandesi. 

Occorre ricercare un nuovo consenso per iniziare un nuovo cammino, che non può più essere né quello del Fiscal compact, né del Mes. Ma grande è il disordine sotto il cielo e lontana appare una nuova terra a cui si possa approdare garantendo la nuova crescita economica di cui non solo l’Ue, ma tutta l’Europa e tutto il mondo hanno bisogno.

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