“Fatti più in là!” cantavano trent’anni fa le “Sorelle Bandiera”, invenzione cabarettistica di Renzo Arbore “en travesti”.

Il travestimento del governo Draghi è meno divertente. Già, perché un governo d’emergenza, che è stato bravo a gestire l’emergenza, non deve pretendere di diventare un para-presidenzialismo settennale e contemporaneamente far credere agli italiani e all’Europa di poter ancora governare bene. O lo fa come prima, e cioè in battuta, rapidamente e senza retropensieri. O è, purtroppo, un altro governo.



Spieghiamoci.

La quarta ondata (anche se forse è la quinta, stiamo perdendo il conto) della variante Omicron imporrà a brevissimo termine il “ricaricamento” di tutta una serie di provvidenze per i settori colpiti. Danari pubblici che serviranno. Il turismo si è rifermato o quasi; la ristorazione zoppica; perfino i saldi sono partiti a rilento, perché la gente non ha voglia di far la fila al freddo fuori dai negozi e dover scegliere la merce imbavagliata con la Fp2, ed ha anche comprensibilmente paura di contagiarsi: sarà poco più di un raffreddore, ’sta roba, ma 200 morti al giorno per “poco più di un raffreddore” nessuno li aveva mai visti prima.



Quindi il governo dovrebbe presto tirar fuori dei soldi per rifinanziare le provvidenze che andavano ad esaurirsi.

Poi: vaccino obbligatorio over 50 e super green pass – misure sacrosante, almeno secondo chi scrive – avranno tuttavia l’effetto collaterale di complicare la vita a molte altre aziende.

L’impennata dei contagi non potrà che moltiplicarsi da lunedì, con la riapertura delle scuole, visto che sono proprio i giovani in età scolare i superdiffusori della Omicron, per la frequente positività asintomatica che li contraddistingue; di qui la concreta possibilità del ritorno alla Dad, con il connesso e indispensabile bonus baby sitter. Per non parlare dei soldi per tutelare i “fragili” che non possono vaccinarsi. E le richieste dei Comuni: che sborseranno quest’anno almeno 500 milioni in più del previsto per il caro energia, e non hanno i soldi per rifinanziare neppure gli sconti Tari alle imprese in  crisi da Covid…



Insomma: serve subito un altro scostamento di bilancio, il diritto di fare nuovo debito. Serve subito. Ma da quest’orecchio Draghi non ci sente. Logica e prudenza vorrebbero che la misura venisse discussa subito e approvata dal governo prima che il 24 gennaio inizi lo stillicidio al buio che dovrà portare alla sostituzione di Mattarella (sempre che non resti lui per il bis). Con quale sicurezza Draghi può rinviare a dopo questa scadenza sovraccarica di incognite il varo di una misura palesemente fin da oggi considerabile come necessaria?

Lega e M5s, peraltro – partiti della mega-maggioranza draghiana – con accenti diversi l’hanno detto, che serve varare un ulteriore disavanzo nei conti pubblici del 2022. Perfino Pd e Leu sono aperturisti. E dunque?

Dunque la verità è che Draghi, dopo l’autogol dell’autocandidatura, sembra aver perso il tocco magico. Il suo carisma, la sua credibilità aveva padre internazionale e madre italiana, ossia l’apparente impermeabilità a qualsiasi accusa sensata di conflitto d’interessi. Sì, sapevamo da quale ambiente Draghi proviene – la Goldman Sachs, tanto per dire uno dei colossi finanziari per i quali ha lavorato e dai quali è stimato – ma appunto: ne proviene, non sta più lì né vuol tornarci. Il guaio è che ora sappiamo che vuole andare al Quirinale. Ed è in conflitto d’interessi, per questo. Perché sembra non voler più – non più come prima, quanto meno – governare bene e governare veloce. Preferisce aspettare di sapere da quale poltrona gli toccherà agire nel 2022. E questo rende sospetto, deprimentemente sospetto, il rinvio a dopo il voto presidenziale dell’indispensabile, ovvio, atteso e condiviso nuovo scostamento di bilancio…

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