La pausa pasquale è durata pochissimo. Da oggi la politica rimette il turbo. Per il governo una strada irta di ostacoli, più o meno evidenti. Ce ne sono di interni, ma anche di internazionali. Non a caso il giorno di Pasqua Draghi ha richiamato la propria maggioranza alle ragioni dell’unità. Ha detto di non essere stanco (Covid permettendo, auguri di pronta guarigione). Di volere governare, facendo le cose che servono al Paese, secondo il mandato ricevuto da Mattarella. E ha chiesto ai partiti di evitare le zuffe, di progettare il futuro con ottimismo e con fiducia, non con antagonismo e avversità.
Draghi mostra fiducia, nonostante le tante partite aperte. Sulla giustizia, che comprende la riforma del Consiglio superiore della magistratura, è confermata l’intenzione di non porre la fiducia sul compromesso faticosamente negoziato dalla ministra Cartabia. Da oggi l’intesa va alla prova dell’aula, con un unico partito ancora apertamente contrario, Italia Viva. Anche sulla riforma degli appalti, ancora in commissione il premier si dice fiducioso e parla di strada spianata. Lo stesso sul disegno di legge relativo alla concorrenza, parte integrante del Pnrr. Maggiori incognite presenta ancora il dossier delega fiscale, alla ricerca di un delicato equilibrio fra le richieste avanzate da Salvini e Tajani da una parte e le riserve di Pd e 5 Stelle dall’altra. Ogni concessione al centrodestra, ha sottolineato Draghi, deve star bene anche al centrosinistra.
Intorno a Draghi i partiti stanno vivendo una stagione confusa, su entrambi i lati del campo politico, e le tensioni si riflettono inevitabilmente sul governo, anche in considerazione delle elezioni che si fanno ogni giorno più vicine. Nell’area del centrodestra lo scontro fra Salvini e Meloni rischia di ingenerare una serie di sconfitte a catena nelle amministrative di giugno, a partire dalla Sicilia, dove non si riesce a trovare una quadra su candidati comuni per il comune di Palermo e la Regione. Ogni mossa avviene in funzione della leadership nazionale da contendersi, e lo spettacolo che esce è di lacerazioni al momento insanabili. Ma se Atene piange, Sparta certo non ride. E dall’altro lato del campo Letta risulta sempre più in difficoltà nel cementare il rapporto con i 5 Stelle targati Conte. I grillini stanno vivendo una profonda crisi interna, acuita più che mai dalla vicenda ucraina. Il partito più atlantista si trova come partner una formazione in cui i dubbi sono numerosi. Il caso del presidente della Commissione Esteri del Senato Petrocelli è in questo soltanto la punta di un iceberg.
La guerra scatenata dalla Russia pone prepotente la questione energetica. Draghi ne è consapevole, e sta spingendo l’Europa a discutere se imporre un tetto al prezzo del gas russo. Un modo per ridurre la dipendenza da Mosca, rafforzando quindi le sanzioni, che sono state votate a larga maggioranza in Parlamento, ha ricordato il premier. Ha spiegato che la pace vale anche qualche sacrificio, magari un paio di gradi di meno d’inverno e di più d’estate, mentre si vanno a cercare nuove forniture altrove, Algeria, Angola, Congo.
Nonostante il tentativo draghiano di rassicurare, non è detto che la situazione si rassereni. L’impressione è che la guerra consigli di evitare rotture, così da non mostrarsi deboli e divisi di fronte a una Russia che minaccia apertamente anche l’Italia, come tutti i Paesi che inviano aiuti all’Ucraina, armi incluse. Minacce di cui nessuno sa definire la fondatezza e la consistenza.
Draghi ha assicurato di non avere alcuna intenzione di candidarsi. Ma non ha detto di volersi ritirare a vita privata. Il suo nome continua a circolare in relazione agli incarichi internazionali più prestigiosi, dalla poltrona di Ursula von der Leyen, in scadenza nel 2024, a quella di segretario generale della Nato, anche se l’uscente Stoltenberg è stato prorogato di un anno, sino al settembre 2023. Per la Nato l’Italia ha buone chanches.
Non c’è quindi una via d’uscita immediata per il premier. Ma l’ipotesi di non tirare ad allungare troppo il brodo rimane. Che di fronte a un deterioramento delle tensioni fra i partiti si possa andare al voto in autunno rimane nel novero delle possibilità, di cui nei palazzi romani si discute. Guerra permettendo, naturalmente.
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