Il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, ha scritto un libro di grande razionalità e ragionevolezza, oltre che di sapienza giuridica: “Il buon governo. L’età dei doveri”. Questo libro non dovrebbe essere letto solo dagli studenti di giurisprudenza, ma anche studiato dai nostri “incredibili” parlamentari, gli acrobati, tutti, dell’antipolitica militante (sia a destra che a sinistra e al centro) e la migliore espressione di quell’analfabetismo di ritorno di cui parlano, riguardo all’Italia, diversi organismi internazionali. Questo libro rappresenta la condanna più grave all’attuale classe dirigente italiana, non solo quella politica.



Un tempo si parlava di anomalia italiana, ed era cosa vera. Oggi si può affermare che ogni record di stravaganza politica, economica, giuridica (il caso Palamara è un primato che nessun Paese democratico potrà superare) e sociale sia stata battuta in Italia, nel Paese governato dai “grillini” del “comico emerso dal nulla” e da un Partito democratico che è l’ultimo derivato (non economico) dell’ideologia italiana in stato preagonico.



Il dramma di questo spaccato è il “grande caos” che il Paese sta vivendo e può vivere nel futuro prossimo che deve affrontare, senza purtroppo avere un’alternativa credibile a questa maggioranza-minoranza parlamentare.

La fotografia del Paese è segnata da una mescolanza di rassegnazione, sfiducia, rancore e desiderio di ribellione. Nel momento in cui ci sono questi evidenti segnali (basta girare per le strade di qualsiasi città) è difficile capire che cosa salterà fuori. Anche il “grande caos” è come la vecchia talpa marxiana: scava, scava e poi mette fuori la testa al momento giusto anche quando nessuno se l’aspettava o sperava che non arrivasse.



Oltre alla paura e all’ansia per un ritorno della pandemia, esiste la durezza della sequenza dei numeri economici, dove in definitiva debito, caduta del Pil, chiusura delle imprese (calcoli approssimativi che si aggirano sul 40%), contrazione spaventosa dei consumi, disoccupazione, povertà e disuguaglianze sociali offrono un quadro spaventoso.

È quasi grottesco il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, quando spiega che nel secondo semestre del 2021 dovrebbe esserci un rimbalzo del Pil valutabile sul 5 o 6 per cento, quando ormai tutti sanno che il crollo del 2020 è valutabile tra il 10 e 15 percento, se tutto va bene, e che, comunque, perché l’Italia ritorni solamente ai livelli pre-Covid, che erano già bassi, occorre attendere il 2025, nonostante i grandi prestiti europei, gli scostamenti di bilancio e tutte le iniziative che si potranno intraprendere.

Sabino Cassese non offre ricette miracolose per risolvere il problema italiano, ma offre una disanima degli errori da correggere e da evitare e fa un invito, che traspare dalle sue pagine, sul problema della verità da dire, sulla necessità di ricreare una classe dirigente, non solo politica, per questo Paese caduto in una crisi che continua a durare ormai da trent’anni.

Ma le parole di Cassese, e di altre persone come lui, sembrano “parole al vento” tanto si è attirati dall’attesa del “grande caos” come regolamento dei conti finale, o come incubo da superare indenni per uno strano miracolo o per un rito vudù.

Facciamo solo un breve riassunto. Mentre crollano i numeri economici e si affaccia una crisi da rivolta sociale, l’Italia di Giuseppe Conte e della maggioranza giallo-rossa si sofferma sul problema del prolungamento dello “stato d’emergenza”. Unico Paese democratico, decreta lo stato d’emergenza prima fino al 31 dicembre, poi fino alla fine di ottobre, poi, per “intervento” di qualcuno, al 15 ottobre. Cassese ha commentato in una dichiarazione televisiva: “Mai visto chiamare i pompieri quando non c’è nessun incendio”.

Tutto questo avviene mentre i numeri della pandemia in Italia sono ridotti al minimo rispetto all’emergenza della scorsa primavera e in confronto alla situazione di altri Paesi europei. Perché? La risposta non è difficile; Conte vuole solo prendere tempo, guadagnare tempo, arrivare alle elezioni regionali parziali e vedere che cosa può salvare del consenso che gli italiani gli danno ancora. Inoltre, vuole mettere mano ai piani per recuperare i prestiti europei e passare per un primo ministro di lunga durata. Un piano grottesco che il Premier definisce, solo in cuor suo, scelta politica.

Mentre avviene questo e si aspetta e non si varano piani seri per accedere ai prestiti europei, si cerca pure di confondere le acque sul Mes per evitare possibili crisi in votazioni inevitabili. Intanto si parla dello “scandalo Fontana”, del “caso Zingaretti con le sue mascherine di cui la magistratura non si è accorta”. Si assiste ai dibattiti sul “Conte primo” ignaro, che aveva un ministro degli Interni, Matteo Salvini, che gli avrebbe nascosto la politica dell’immigrazione sulla “Open arms” e quindi costretto ad andare a processo. Si parla, con dovizia e passione, dei banchi di scuola a rotelle della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e dei programmi di fornitura, “folgoranti” come al solito, del commissario Domenico Arcuri che hanno fatto imbestialire molti imprenditori.

Lo spettacolo non sembra affatto rassicurante. Si dice che occorre sempre partire dal positivo e quindi vedere il bicchiere “mezzo pieno”. Il problema è che questa volta, con l’ineguagliabile governo Conte, risultato finale di un trentennio disastroso, non si vede neppure più il bicchiere.