Domenica prossima le elezioni in mille comuni e i referendum sulla giustizia, due settimane dopo gli eventuali ballottaggi, quindi per capire chi avrà vinto questo round bisognerà attendere la fine del mese. Nel frattempo, il 21 giugno Mario Draghi andrà davanti alle Camere per comunicare, alla vigilia del Consiglio europeo, la linea che il Governo terrà sull’Ucraina. Un passaggio ad alto rischio perché per la prima volta in molti anni la politica estera è diventata rilevantissima per gli equilibri politici interni.



Giancarlo Giorgetti al Festival dell’economia di Trento venerdì scorso ha suonato un campanello d’allarme: “Non so cosa proporrà il premier, ma il Parlamento è sovrano, se la pensa diversamente bisognerà trarne le conseguenze”. L’incognita riguarda l’atteggiamento del M5s e della Lega. Cosa faranno? “Chiedetelo a Conte e Salvini”, ha tagliato corto il ministro dello Sviluppo economico, che è anche il numero due della Lega. 



L’Italia, insomma, in questo mese di giugno appare come una nave in acque agitate che attende la tempesta, sapendo che arriverà, non quando e quanto sarà forte. Un’unica cosa è certa: anche se non ci sarà nessuna crisi di governo (ed è questa oggi come oggi la previsione più probabile) sarà difficile prendere le decisioni necessarie per far fronte alle emergenze. La prima riguarda l’inflazione e non è solo economica. 

Il Governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali all’assemblea martedì scorso ha detto che un aumento del costo del denaro è inevitabile, anche se dovrà essere cauto per non cadere dalla padella nella brace, cioè dall’inflazione alla recessione che è stata evitata per un soffio. Ignazio Visco ha invitato a non innescare una spirale prezzi-salari, ma esiste da tempo una questione salariale irrisolta. Le paghe sono troppo basse. Lo è anche la produttività nell’industria manifatturiera, figuriamoci nei servizi, come mostrano le tabelle elaborate dalla Banca d’Italia. 



Una soluzione ragionevole sarebbe stringere un patto tra sindacati e aziende, garantito dal Governo, per aumentare i salari insieme alla produttività del lavoro. Lo ha proposto la Cisl, ma nessuno ha raccolto l’invito, né gli altri sindacati, né la Confindustria, né il Governo per i quali la via maestra è ridurre il cuneo fiscale. Ma affinché abbia un effetto consistente occorre aumentare l’indebitamento pubblico. In uno scenario di tassi più elevati, di tensioni sui mercati finanziari, di rialzo dello spread, non sembra una strada agevole. 

A sinistra rispunta come un fiume carsico la patrimoniale sotto varie forme, la casa, le rendite finanziarie, una sovrattassa sui ricchi; è il cavallo di battaglia di Maurizio Landini, ma in tempi d’inflazione è un serpente che si morde la coda: i detentori di redditi elevati sono in grado di traslare il carico fiscale aggiuntivo sui prezzi. Dalla tazzina di caffè alla revisione degli appalti, il processo è già in corso, del resto chi può si muove in anticipo, il mercato si basa sul gioco perverso delle aspettative. Dunque, non sarà facile compensare lavoratori dipendenti e lavoratori per le perdite provocate dall’inflazione, obiettivo che il Governo si è dato esplicitamente e che condiziona direttamente l’appuntamento più spinoso: la Legge di bilancio per il 2023. Deve essere presentata in autunno, verrà abbozzata a settembre, ma è chiaro che sarà un tormentone per tutta l’estate. 

Si tratta di mettere insieme le spese e le entrate della Pubblica amministrazione mentre è già aperta la campagna elettorale. Sarà un terribile rompicapo, anche perché il clima da unità nazionale è ormai svanito. E non sono solo Conte e Salvini. Sia Enrico Letta, sia Giorgia Meloni hanno detto che con il voto della prossima primavera saranno gli elettori a scegliere direttamente chi li governerà. Con un centro-destra diviso, un centro-sinistra che tende a identificarsi con il Pd vista l’instabilità dei grillini, e un centro che resta sempre un’araba fenice, può accadere che nessuno ottenga la maggioranza e il presidente della Repubblica debba di nuovo prendere l’iniziativa. È un’eventualità che non piace a Sergio Mattarella. L’ipotesi che ci sia un Draghi bis, del resto, sembra scartata dallo stesso Draghi. Mai dire mai, tuttavia oggi le cose stanno così. 

Il quadro potrebbe cambiare con una legge elettorale proporzionale? Molti lo pensano, tra questi Letta e, tutto sommato, anche Giorgia Meloni nonostante l’inclinazione maggioritaria, anzi presidenzialista. Ciò vuol dire che, dalla fine del mese, una volta digeriti i risultati elettorali, i partiti si concentreranno su se stessi, mentre il Governo dovrà concentrarsi sulle riforme per rispettare gli impegni del Pnrr e sulla prossima finanziaria. Una sfasatura davvero pericolosa, con la guerra in Ucraina che non è affatto finita e la corsa dei prezzi che non rallenta creando ansia, incertezza, voglia di proteggersi, tutti disincentivi per gli investimenti, compresi quelli finanziati dall’Ue. 

La realtà dice che non c’è tempo da perdere, il gioco dei partiti invece sta già perdendo questo giugno inquieto.

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