Lo schema è cambiato, ma qualcuno, come Conte e i 5 Stelle, non lo hanno ancora compreso. “La vera domanda per capire l’assetto politico in cui ci troviamo non è chi si contrappone a Draghi, ma chi lavora per raccogliere la sua eredità politica” dice al Sussidiario Mario Sechi, direttore dell’Agi. Per questo le speculazioni sulla volontà e i progetti di Conte e Travaglio di far deragliare la maggioranza hanno poco senso. Il vero nodo politico è chi si farà interprete di Draghi dopo di lui. Ed è una problema, osserva Sechi, che i partiti devono porsi adesso. E Draghi? Sarà il prossimo presidente della Commissione Ue, è il suo pronostico.



Che peso attribuire ai retroscena che vorrebbero Conte intenzionato a destabilizzare il governo Draghi?

Le ipotesi non sono fatti. Proviamo a spacchettare il problema. La domanda è semplice: che senso avrebbe? La mia riposta è: nessuno. 

Eppure, Conte è stato messo alla porta e se l’è legata al dito.

Attenzione. Il governo M5s-Pd ha fallito tutti gli obiettivi, non dimentichiamolo. Alla fine Draghi ha salvato tutti. 



Salvato, ha detto?

Sì. Il Pd, dal fatto di essersi imbarcato in un’avventura con un partner con il quale era difficile trovare una sintesi vera di governo. E ha salvato il M5s dal naufragio evidente sulla vaccinazione e dall’aver mancato totalmente l’obiettivo della ripresa economica. 

C’era la pandemia.

C’era anche quando è arrivato Draghi. Era quella formula di governo a non funzionare. Come d’altronde non aveva funzionato la formula M5s-Lega. Eppure qualcuno diceva che c’erano delle affinità, che entrambi erano “populisti”. Va detto, e ti prego di scriverlo, che poi il populismo ha contagiato un po’ tutti.



Niente fronte duro con Draghi dunque.

Direi proprio di no. Sarebbe inutile, un’operazione suicida. A Roma dicono ia’ rimbalza.

Qual è il punto?

Lo ha scritto bene oggi (ieri, ndr) Giuliano Ferrara. Siamo di fronte a un fatto politico inedito, un “uomo solo al comando” che non ha fini personali, privo di narcisismo pop, concentrato sull’impresa e con un metodo di lavoro preciso. Spiazzante. Si muove in uno “stato d’eccezione”, senza innescare ansia, rassicurando con i fatti e una misurata “politica della distanza” dai partiti. Il suo arrivo lo aveva ben motivato il presidente Mattarella. Eccolo qui, Draghi.

Analisi che la convince?

Ferrara si ferma alla liquidazione della politica, alla scomparsa della contesa, alla quiete forzata che si risolve in baruffa tra i partiti sul nulla. Fa tutto Draghi.  Io aggiungerei una cosa in più.

Prego.

Non c’è contesa politica perché tutti i format possibili di governo sono falliti. L’unico rimasto era quello di larghissime intese, l’esecutivo d’emergenza. Un governo aperto a tutti, ed ecco infatti l’ingresso della Lega. Un format non compreso all’inizio, infatti Pd e 5 Stelle chiedevano “il perimetro”. Perimetro che non poteva esserci, perché era il Quirinale a non volerlo.

Però è evidente che Draghi è appena tollerato da una parte dei partiti che lo sostengono.

Ma così torniamo alle intenzioni. Il dato di fatto è che se M5s aprisse un fronte ostile con Draghi, farebbe un’operazione-kamikaze. Lo dicono i numeri: la supermedia Agi dice che il gradimento del governo Draghi è altissimo (73,6%), M5s (16,4%) e Pd (18,8%) scendono (rispettivamente -0,3 e -0,8), la Lega è stabile (21,5%), Meloni sale (19,4%, +0,7).

Conviene stare all’opposizione?

No, perché chi lo fa capitalizza qualcosa oggi, ma nel momento in cui la formula del governo Draghi si scioglie, nel 2023, la situazione politica che ora è cristallizzata si rimette in movimento.

Noto che ha detto nel 2023, non nel ’22.

Certo. Non credo alle elezioni anticipate, perché solo Draghi può gestire il Recovery. Proviamo a immaginarci qualcun altro al suo posto, con questa o con un’altra maggioranza. Il paese diventerebbe ingovernabile.

Mattarella può fare un bis?

Sì, anche se lui per ovvie ragioni lo esclude. Ma c’è un’altra cosa importante. Ad oggi non c’è un partito di Draghi. 

Prevede uno scenario alla Monti?

Assolutamente no. Draghi non intende fare e non farà nessun partito. Voglio dire che nessun partito, finora, si è fatto interprete del “draghismo”. La domanda è: nel 2023, di fronte agli elettori, quale partito rivendicherà quanto fatto dal governo Draghi senza doversi giustificare, fare precisazioni, mostrare bandiere? Andiamo dall’approccio al piano vaccinale al rimbalzo economico e alle riforme del Recovery.

Al momento questo partito non c’è.

Eppure l’azione di Draghi sta avendo effetti reali e la sua impresa sarà un successo. Stiamo per assistere a un boom economico rapidissimo, una ripartenza a razzo. Nessuno avrà la forza di mettere Draghi in difficoltà, sarebbe come una lumaca che sfida Carl Lewis in pista. 

Perché questa riuscita, secondo lei?

Perché Draghi sa come si governa, come si dispongono le cose e come si risolvono i problemi. Il suo è un metodo, un metodo basato – parola chiave del draghismo – sul pragmatismo. E ha un consenso altissimo. Non è un dettaglio.

Quali soggetti dello schieramento che lo sostiene potrebbero impersonare e proseguire la parentesi-Draghi?

Si poteva pensare, sulla carta, che il candidato naturale sarebbe stato il Pd, ma abbiamo visto che non è così. Zingaretti si è addirittura dimesso quando è arrivato Draghi.

Allora il Pd di Enrico Letta.

Non mi pare che voglia un partito draghista. Dichiara esplicitamente un programma di sinistra. 

Nel centrodestra?

Ci avviciniamo di più. Hai letto l’intervista di Berlusconi al Giornale? Ecco, quello è un elemento di draghismo. Un Berlusconi europeista, pragmatico, che propone una riforma fiscale, elogia e rivendica il metodo Draghi (che per il Cav è il “metodo Berlusconi”, chiaro) in politica estera, basato sull’approccio realistico e i rapporti interpersonali costruttivi. E sull’autorevolezza di Draghi, il pilastro dell’esperienza. 

Allora toccherà al centrodestra impersonare il draghismo.

Preferisco dire che tocca ai liberali. Esistono. E non sono affatto pochi, semplicemente non sono organizzati. Ma chiunque sia liberale e occidentale può interpretare il metodo Draghi. Tornando a noi, come si vede, tutto questo capovolge gli schemi.

In che senso?

Nel senso che la vera domanda per capire l’assetto politico in cui ci troviamo non è chi si contrappone a Draghi, ma chi lavora per raccogliere la sua eredità politica. Che certamente non è replicabile, ma sempre di eredità si tratta.

Corollario?

L’opposizione a Draghi diventa un boomerang per chiunque la faccia dall’interno con l’intenzione di “rompere” o “piegare”. Altra cosa è fare una propria battaglia di bandiera, come faranno Conte e M5s, che però con uno come Draghi risulta comunque difficile.

Scusi se insisto: perché è difficile?

Equivale a chiedersi perché Draghi possa dire: ascolto tutti, ma poi decido io. Senza obiezioni.

Appunto: perché?

Perché il suo è un governo nato dallo stato di eccezione e nello stesso tempo, in tale stato di eccezione, gode di un consenso parlamentare enorme. E nel paese è maggioritario e crescente. Il new normal è Draghi. Che normale non è. Draghi sarà il premier che ha sconfitto il virus, ha riaperto l’Italia, ha innescato il boom economico, lo ha consolidato e ha realizzato un piano di investimenti di oltre 200 miliardi. Conte? È quello che ha vinto lo scudetto con l’Inter. 

Un altro corollario?

Anche se a Draghi dovesse mancare l’appoggio di un partito su un certo tema, non cambierebbe nulla: la maggioranza è talmente larga che assorbirebbe anche il dissenso. 

È ipotizzabile una convergenza tra due pragmatismi, quello di Draghi in Europa e quello di un centrodestra a guida salviniana nel modificare i trattati?

Allo stato attuale no. Credo però di poter dire che il Patto di stabilità dovrà cambiare e cambierà. Per ragioni oggettive, non perché se ne parli adesso. Il tema è tornato alla ribalta perché ci sono le elezioni tedesche, domenica in Sassonia-Anhalt e in autunno in tutta la Germania. Schäuble e Laschet (Cdu, ndr) chiedono si torni al Patto perché si rivolgono all’elettore moderato tedesco. 

La Lega di Salvini?

È a un bivio. La mia opinione è che debba provare a entrare nel Ppe, ma non mi pare che sia questo il disegno di Salvini, almeno per ora. 

Allude all’appello lanciato dal Portogallo ai partiti sovranisti europei, ad unirsi per essere alternativi al Pse e al Ppe?

Sì. Non si possono superare le diversità fino al punto che immagina Salvini. Probabilmente il leader della Lega pensa che in Germania ci sarà un cambio radicale di sistema. Io non lo credo. E magari pensa che Le Pen possa vincere in Francia. Non credo nemmeno questo, perché in Francia c’è il doppio turno.

C’è una cosa che accomuna Pse e Ppe: il regime ordoliberale fondato sull’austerity e il rispetto degli zero virgola in bilancio. Alla Schäuble, per intenderci. 

Vero. Ma il paradosso è che la Lega, da quando esiste politicamente, ha governato nell’euro e con l’euro. E adesso, con ciò che difende Salvini, con la sua posizione sbilanciata a destra in Europa, risulta meno spendibile, si confina da sola in un ruolo marginale nella politica dell’Unione. Se vuoi contare, non puoi stare ai margini, ma al centro della galassia politica. La Lega ha il problema di tutti: della propria identità e della propria trasformazione. Salvini ha fatto un capolavoro entrando nel governo Draghi e votando il Recovery Fund. Ma dov’è il suo piano B?

Lei che dice?

Mancano le mosse successive. E la via è quella del ri-posizionamento in Europa. Quello attuale è un vicolo cieco. Salvini deve decidere, cambiare piano, e non ha molto tempo a disposizione. 

Intanto nel centrodestra è guerra di sondaggi. È in palio la leadership.

Resto dell’idea che i sondaggi vadano guardati solo fino a un certo punto. 

E perché?

Perché di “sondaggite” si muore. Sia che il tuo partito vada bene, sia che vada male. Il problema non è andare bene nei sondaggi, ma interpretare il ruolo che solo il tuo partito è chiamato a svolgere.

Vuol dire che torniamo al partito di Draghi?

Proprio a quello. Non esiste un problema di opposizione, ma di posizione. Di fronte a Draghi, questi partiti sono privi di mappa e bussola, cioè mancano di una cultura politica ampia, di capacità di analisi, di elementi manageriali applicati alla macchina del governo, di esperienza internazionale, di rapidità d’esecuzione e psicologia del giocatore di scacchi. Draghi è decine di mosse avanti, ha già fatto scacco matto. 

Una previsione. Sarà lui nel ’23 ad andare al Colle?

Penso che Draghi sarà il prossimo presidente della Commissione Ue.

In effetti se fosse un nordico, un “frugale”, un talebano della partita doppia, per noi sarebbero guai. Perché Draghi?

Mi pare destinato a diventare il punto di riferimento dei leader europei. Chiusa l’era della cancelliera Merkel, si apre la sua, i vuoti si riempiono e Draghi è al posto giusto nel momento giusto. Serve all’Europa, e di rimbalzo va bene a noi.

Il 2024 è lontano.

No, è domani. E Draghi serve alla guida dell’Unione in un mondo di ferro e fuoco.

(Federico Ferraù)