Matteo Salvini, sfidato ad aprire la crisi, ha accettato di essere “Quello lì” in troika con Conte e Di Maio e quindi il governo, anche se avrà vita difficile (Salvini continua a minacciare la crisi prima in estate e ora in autunno) è destinato a durare. Sia il capo politico del M5s sia il leader della Lega sanno – come ha ripetutamente dichiarato il presidente della Repubblica – che se cade questo governo nel prossimo non ci saranno ed entrambi senza il ruolo di vicepremier e ministri plenipotenziari, fuori dalla “stanza dei bottoni”, temono di perdere visibilità mediatica e pieno controllo del proprio partito.
Ma le ragioni di crisi sono sostanziali. Il “governo del cambiamento” tra cosiddetti “populisti” e “sovranisti” era nato avendo come base comune la rivolta contro l’Europa di Merkel-Macron e come traguardo il voto del 26 maggio. Nel corso di tutti questi mesi e di fronte a ogni difficoltà, Di Maio e Salvini hanno assicurato il “Big Bang” di un nuovo Parlamento europeo che li avrebbe visti protagonisti di una radicale svolta e hanno continuato a suonare le campane a morto verso i vertici di Bruxelles dipingendoli come cadaveri e fantasmi.
Il Big Bang “populista-sovranista” però non c’è stato: la nuova Commissione europea sarà guidata da una fedelissima della Merkel la cui candidatura è stata proposta da Macron e il Parlamento europeo ha già “schiaffeggiato” la coalizione giallo-verde eleggendo come presidente un italiano, David Sassoli, che è un esponente dell’opposizione al governo M5s-Lega e che annuncia un “cordone sanitario” contro populisti e sovranisti. Ben lo ha capito il premier 5 Stelle, Conte, che nell’incontro con la von der Leyen ha ostentato il più untuoso collaborazionismo: “Ottimo feeling personale”.
Luigi Di Maio nel giro di tre settimane ha visto dimezzare i voti del suo partito, ha dovuto poi accettare le tesi di Tria per evitare la procedura d’infrazione, ha visto il premier Conte – che è del suo partito – dare l’ok alla Tav e il governo italiano, in cui il M5s è in maggioranza, firmare l’accordo con la Commissione europea per il suo co-finanziamento. Ma soprattutto si è assistito alla capitolazione di Di Maio di fronte all’Europa Merkel-Macron. I voti del M5s sono stati determinanti per approvare la nomina di Ursula von der Leyen. Perché dopo aver strillato per un anno contro l’asse franco-tedesco non ha messo in minoranza l’accordo Macron-Merkel? In qualsiasi altro paese un simile “capo politico” sarebbe uscito di scena. Renzi dopo la sconfitta referendaria si è dimesso. Il M5s di Di Maio e Casaleggio è passato dal “Vaffa” all’hic manebimus optime.
Da parte sua Matteo Salvini ha sì stravinto nel voto, ma si trova in situazione non poco critica. Nel Parlamento europeo non conta nulla, non riuscendo nemmeno a eleggere un vicepresidente tra quelli a disposizione della minoranza. Ma, soprattutto, si trova a far chiedere a Ursula von der Leyen un posto di commissario rilevante dopo averle votato contro.
Il suo candidato dovrà poi passare l’esame della commissione parlamentare dove ovviamente per superarlo sarà costretto a schierarsi a favore delle dichiarazioni programmatiche della von der Leyen e a dissociarsi dal gruppo leghista che è all’opposizione.
La crisi è quindi sostanziale perché è venuto meno lo scenario di avere più voce nell’Unione Europea che era alla base del “contratto”. Mentre nel corso dell’ultimo anno con la Commissione Juncker in scadenza c’è stato con Moscovici un atteggiamento bonario, ora da Bruxelles – dopo aver sventato l’attacco sovranista-populista – spira un vento molto meno indulgente.
Crescono quindi il nervosismo e la confusione nel governo con differenze e contrasti nella maggioranza che i due vicepremier pensano di gestire con una sorta di “parlamentarizzazione” del governo: i leader e i ministri dei due partiti si insultano, si minacciano e si deridono come se fossero in un’aula su banchi opposti. Di Maio è il più esposto nella “parlamentarizzazione”, fino al punto di fingere di non sapere che è stato il premier Conte ad annunciare la svolta a favore della Tav e che il ministro dell’Economia ha già firmato l’accordo con Bruxelles. E quindi mette in scena la “foglia di fico” di una votazione parlamentare su un documento presentato dal gruppo M5s contro la Tav accusando Salvini di far maggioranza con Berlusconi e il Pd. Un espediente infantile.
Quindi torniamo al quesito: perché un simile “capo politico” è ancora protagonista nel governo del Paese? Perché in questo Parlamento è il “grande elettore” – con un terzo delle Camere – del prossimo presidente della Repubblica. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, è stato il più esplicito e lo ha sottolineato ripetutamente negli ultimi giorni prefigurando anche con Zingaretti la necessità di un’intesa con il “mondo” dei 5 Stelle: quel che conta di più – rispetto anche a Palazzo Chigi – è l’inquilino del Quirinale (che da più di quarant’anni è sempre stato eletto con i voti della sinistra). Perché rimanga a sinistra occorre che non vi sia scioglimento anticipato delle Camere.
E quindi con l’obiettivo di mantenere il Quirinale a sinistra si fa quadrato in difesa di queste Camere, con la maggioranza dei parlamentari che vivono nel timore di non essere rieletti e un personaggio spregiudicato come Luigi Di Maio, a capo del partito di maggioranza relativa, “dominus” della politica italiana.
Sergio Mattarella si dovrebbe pertanto assumere in prima persona la responsabilità di trascinare così il Paese fino al 2023: una vita nazionale sempre più allo sbando e una crescente irrilevanza dell’Italia nelle relazioni internazionali.