Salvini e Letta possono al massimo cercare di distinguersi, ma solo fino a un certo, perché nella sostanza non possono che muoversi nel perimetro indicato da Draghi, mentre Conte e la parte dei Cinquestelle che lo segue vorrebbero sì mettere in crisi il governo, ma anche loro sono costretti a fare i conti con la realtà. Le cose succedono quando c’è un interesse vero a farle succedere e oggi nessuno può e vuole far cadere il governo”.



All’indomani del voto sul decreto per l’estensione graduale del green pass che ha visto tutta la maggioranza, Lega compresa, dare il via libera, così sintetizza l’attuale momento politico Stefano Folli, editorialista di Repubblica, che sulla partita del Colle chiosa: “Lo status quo prevede Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella ancora al Quirinale, perché Draghi al Quirinale sarebbe un cambiamento, per come si stanno mettendo le cose, quasi epocale: significherebbe elezioni quasi subito dopo”.



Sul decreto green pass a cosa abbiamo assistito: solo schermaglie in vista del voto amministrativo? O c’è qualcosa di più che val la pena guardare con attenzione?

Tutto quello che succede adesso va letto anche alla luce della campagna elettorale in corso in vista del voto nelle grandi città a ottobre. Salvini e la Lega vorrebbero distinguersi, ma non hanno veramente la possibilità di farlo.

Perché?

Come fai a distinguerti sulla politica sanitaria? Puoi mandare dei segnali al tuo elettorato, per far capire che sul green pass e sui vaccini si vorrebbe minore intransigenza.

Ma sono solo segnali di fumo?



Sì. Stare nella maggioranza pone delle questioni discriminanti, a meno che uno non voglia far cadere il governo, cosa che però nessuno pensa di fare. Alla fine, nella sostanza, la Lega non può che restare dentro il perimetro indicato da Draghi.

A cosa punta allora Salvini?

Ha paura che la Meloni gli mangi un po’ di elettorato e cerca di limitare i danni, ma più di tanto non può spingersi. Dentro la maggioranza lui conta, fuori è impensabile che vada, perché significherebbe – lo ripeto – far cadere il governo. Altro che Papeete, sarebbe un Papeete all’ennesima potenza.

E Draghi?

Ovviamente evita di stravincere, gli concede qualcosa, soprattutto nei toni, cerca sempre di rispettarlo come componente della coalizione.

Draghi, che si muove con la stessa decisione di quando era alla guida della Bce, sul tema green pass ha però chiesto “gradualità”. E’ un indizio che conferma l’esistenza di un patto Draghi-Salvini come qualcuno vocifera?

Il patto è nei fatti, non c’è bisogno di formalizzarlo davanti a un notaio. Sapendo che Salvini non può far cadere il governo, Draghi non trae alcun vantaggio a umiliarlo e nel limite del possibile cerca di venire incontro alle esigenze della Lega. Questo è il patto.

Ma se Salvini non ha alcuna intenzione né possibilità di uscire dal governo, perché il Pd di Letta continua a gridare “al lupo, al lupo”, chiedendo un giorno sì e l’altro pure che Salvini chiarisca la sua posizione?

Perché ha bisogno di un nemico. Stare in una maggioranza con la destra – per fortuna la Meloni è fuori, ma Salvini basta e avanza come personaggio ingombrante per il Pd – per Letta non è facile. Ha bisogno a sua volta di distinguersi, per dire che se fosse per lui si farebbe una maggioranza diversa, di centrosinistra con il M5s. Per questo grida, chiede agli elettori di garantirgli il peso necessario, in un futuro che adesso non possiamo ancora definire, ma che si può collocare all’anno venturo, per riuscire ad avere la forza politica per mettere in piedi un governo senza Salvini.

Come va interpretato il rinvio della cabina di regia?

Penso sia dovuto a difficoltà tecniche, ma si farà. La cabina di regia comunque è una iniziativa effimera, perché è da escludere che possa diventare il timoniere della nave del governo. Il timoniere è Draghi e basta. La cabina di regia può tutt’al più avere un ruolo consultivo per aiutare a ridurre le tensioni, è un luogo dove i partiti penseranno di contare più di quel che effettivamente contano.

Al di là dei temi sanitari, uno dei nodi più aggrovigliati e più divisivi resta quello del Reddito di cittadinanza: rischia di essere una bomba per chi?

E’ una questione economica e sociale molto delicata, esplosiva, che si presta a rese dei conti politici. Ma torniamo sempre a monte: non c’è oggi la possibilità di far cadere il governo o di ricattarlo più di tanto. E poi anche in questo caso Draghi sta cercando di gestire la cosa con equilibrio. Il Rdc verrà corretto, ha dimostrato i suoi limiti e la revisione era già nell’ordine delle cose. Alla fine si troverà una composizione e i Cinquestelle accetteranno la correzione degli aspetti negativi. Anche perché conteranno i risultati delle amministrative, che hanno una valenza politica, visto che dopo ottobre si vedranno i pesi dei vari partiti.

Salvini, Letta, Conte: il 3 ottobre nel voto delle grandi città chi rischia di più?

Premesso che è una campagna elettorale un po’ bislacca, che neppure si avverte e che si riflette nelle scaramucce cui stiamo assistendo, il voto amministrativo sarà un passaggio delicato per tutti e tre. Ma solo il centrodestra è in grado di sopportare la sconfitta, cioè l’eventualità che venga battuto ovunque, tranne forse a Torino, e seppure la sconfitta di Michetti sarebbe una botta considerevole perché dimostrerebbe che dopo mesi di discussione la coalizione non è riuscita a trovare un candidato decente.

Per Conte?

Conte cerca di mimetizzare quello che sa già adesso: sarà un passaggio pesante, anche se non decisivo per il suo futuro.

E per Letta?

E’ quello che rischia più di tutti in caso di sconfitta, ma credo che alla fine potrebbe cavarsela meglio di tutti. Primo, perché sarà eletto nel collegio di Siena, e già questo è per lui importante. Secondo, se il Pd dovesse conquistare Roma, assieme a Bologna, Napoli e Milano, anche se Sala è un personaggio anomalo, tutto ciò avrebbe un peso non indifferente.

Ma non dovesse farcela Gualtieri?

Beh, vincesse Michetti o Calenda, per Letta sarebbe una catastrofe.

La partita del Quirinale sembra oggi essersi ridotta a una corsa a due: o Mattarella o Draghi. E’ così?

Lo status quo prevede Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella ancora al Quirinale. Draghi al Quirinale sarebbe un cambiamento, per come si stanno mettendo le cose, quasi epocale, perché significherebbe elezioni quasi subito dopo e tante cose che potrebbero accadere e su cui tutti cercheranno di riflettere. Lo status quo è il Mattarella bis, spostando in avanti tutte le contraddizioni.

Può accadere?

E’ plausibile che accada. Bisogna vedere come evolverà nei prossimi due mesi non solo la situazione politica, ma anche quelle economica e sociale. Si entrerà nel vivo della partita per il Colle solo a novembre e non penso che il sistema italiano potrà poi permettersi una serie infinita di votazioni, come nel lontano passato. La logica delle cose e l’interesse nazionale prevedono che si tenti un accordo molto ampio il più presto possibile.

C’è qualcuno che lavora contro questo status quo?

Sicuramente Conte e i Cinquestelle, che oggi assomigliano tanto a Die Linke, il movimento tedesco di sinistra un po’ all’antica non assimilabile all’establishment – e Draghi rappresenta l’establishment. Poi LeU e quella parte del Pd, legata a Bettini e alla sinistra dem vicina al M5s, che non accetta Draghi e preferisce tornare a votare. Non certo Letta, che seppur con qualche esitazione sta comunque sostenendo Draghi al governo.

C’è chi dice che la corsa al Colle entrerà nel vivo solo dopo che si sarà insediato il nuovo governo tedesco. Ma riusciranno a vararlo in due mesi?

Difficile prevederlo, anche se in Germania è abbastanza lunga la procedura post-elettorale. Non credo però che ci sia una così stretta connessione tra elezioni tedesche ed elezione del nostro Capo dello Stato.

(Marco Biscella)