Le elezioni che si terranno in 6 regioni il 21 settembre restano sullo sfondo di qualsiasi manovra politica: 20 milioni di persone sceglieranno il proprio governatore. Al momento quattro regioni sono in mano al centrosinistra (Toscana, Marche, Puglia, Campania), due al centrodestra (Liguria e Veneto). Abbiamo parlato dei possibili effetti delle regionali e della crisi sempre più conclamata del Movimento 5 Stelle con Mauro Suttora, giornalista e inviato negli Usa.



Il rischio concreto, per la compagine di governo, è che Marche e Puglia vadano al centrodestra, che nelle regioni ha un vantaggio di 7 e 5 punti nei sondaggi. Se poi cadesse la Toscana, cosa poco probabile, sarebbe una sonora sconfitta. “Solo la Campania resta di sicuro al Pd, grazie a De Luca che è un vero ras locale. Il Pd potrebbe far cadere il governo per chiedere un dividendo politico, ma non andremmo comunque a elezioni”. È il risultato del Pd a restare l’incognita delle regionali, perché un brutto risultato dei 5 Stelle ormai “è scontato”. Sulle lotte interne al Movimento, dice Suttora, “il clima di paura non fa filtrare nulla”. In effetti, anche Buffagni, che era contro la deroga al limite dei due mandati, ha fatto pubblica abiura. E allora si capisce perché Suttora parli dei 5 Stelle come “del partito comunista russo negli anni 30”.



Conte e Di Maio, in due diverse interviste, hanno parlato di alleanze. Pd e 5 Stelle vanno verso un accordo organico in futuro?

I 5 Stelle ci puntano. Di Maio vuole un patto per le quattro principali città italiane che vanno al voto nel 2021: Milano, Torino, Napoli e Roma. Il Movimento, al Nord, è ovunque dietro il 10%.

Conte però puntava a un patto tra Pd e 5 Stelle già alle regionali. Come mai è andata male?

Conte non doveva provarci: metà dei grillini non lo tollera. E nel caso di Marche e Puglia ha solo aizzato i candidati 5 Stelle contro di lui, basta leggere le loro dichiarazioni.



Cosa doveva succedere perché il patto per le regionali andasse in porto?

Sarebbero dovuti scendere in campo a sostenerlo i big del partito: Casaleggio, Di Battista, Grillo e la Taverna. La ribellione è ormai aperta, e il 4 ottobre, anniversario della fondazione, non si terranno gli Stati generali, come previsto. Per quelli ci sarà tempo, più tardi. Per ora Casaleggio ha annunciato che ci saranno le “Olimpiadi delle idee”.

Cosa sta succedendo ai vertici del Movimento?

Uno scontro tra Di Maio, di Battista e Fico. Ma è la Taverna ad avere più chance di tutti: è una fedelissima di Grillo, è donna. Di Maio le preferisce l’Appendino, ma è più probabile che la sindaca di Torino cercherà di farsi riconfermare. Anche se i 5 Stelle vanno male pure a Torino, almeno a vedere i risultati delle Europee.

Ma i leader del Movimento restano in silenzio. Perché?

Hanno un dibattito interno simile a quello del partito comunista russo degli anni Trenta, vengono da 40 espulsi nella scorsa legislatura, numero quasi già eguagliato in questa. Dal Movimento non filtra nulla, e parlare pubblicamente dei problemi è difficile in questo clima di paura.

In che situazione si trova il governo?

La maggioranza non dice mai una parola chiara su un tema concreto. Nel decreto agosto, tra sussidi e bonus, ci sono 170 provvedimenti. E i bonus sono sicuramente quel debito cattivo di cui parlava Draghi. Anche sul Mes c’è indecisione: il governo ha stimato 70 miliardi per il servizio sanitario nazionale, ma non sappiamo dove prenderli.

Sopratutto, manca ancora una strategia sul Recovery plan, il piano per la spesa dei fondi europei che dovremo presentare alla Commissione. Come andrà a finire?

Dobbiamo essere pronti per il 15 ottobre, ma la prima riunione alla Camera per discutere del piano è prevista per il 3 settembre. Sul Recovery Fund sento cose strane, come usarli per fare l’alta velocità tra Bari e Reggio Calabria. Non potremo di certo spenderli per queste cose, o per bonus a pioggia.

Il referendum sul taglio dei parlamentari può cambiare le sorti del governo?

Il governo non rischia dal referendum, ma dalle regionali. Dove il fatto che i grillini andranno male è scontato. È il Pd che può chiedere il conto al governo delle regionali, comunque vadano.

Cosa può accadere?

Se il Pd ottiene un buon risultato chiederà la premiership per uno dei suoi al posto di Conte, anche solo per una normale staffetta. Conte nel Pd è apprezzato, ma solo finché porta i voti dei grillini. Ma se il Pd il 21 settembre va male, si renderà conto che l’alleanza coi grillini non funziona. In ogni caso ci saranno sommovimenti.

Comunque, nulla in grado di far saltare il patto di governo Pd-5 Stelle.

Nessuno vuole andare al voto in questo momento, in tutto il Parlamento conviene solo a Giorgia Meloni. È nel palazzo che vedo i sommovimenti. Ma un cambio di maggioranza ci può essere solo in caso di disastro, economico o pandemico che sia.

E cosa accadrebbe?

A quel punto potrebbe uscire il nome di Draghi. Ma manca solo un anno e quattro mesi all’elezione del presidente della Repubblica, quindi dubito che Draghi voglia infilarsi nell’arena politica. Però sono bastate quattro parole di Draghi a Rimini per far sparire il resto.

Anche perché parla di rado.

L’esatto opposto di Conte.

Il taglio dei parlamentari va in porto? E, secondo lei, è abbastanza per rilanciare i 5 Stelle? Tutti i giornali del gruppo Gedi (Repubblica, La Stampa, Huffington Post) si sono schierati contro.

Giornali e partiti possono essere anche tutti contrari, ma la gente rimarrà a favore. E poi la legge per il taglio dei parlamentari è stata votata 4 volte, in doppia lettura.

Il Pd però, ricorda il direttore di Repubblica Molinari, l’ha votata una sola volta su 4.

La volta in cui il tacchino vota a favore del Natale. Più leggo gli argomenti per il No e meno mi convincono, specialmente quelli sul numero dei parlamentari.

Ogni giorno un membro del Pd si schiera contro il taglio dei parlamentari, oggi (ieri, ndr) è stato il turno di Ugo Sposetti. Perché i 5 Stelle non reagiscono?

I 5 Stelle sperano che più persone, partiti e giornali possibile si schierino contro il taglio dei parlamentari, perché questo gli consente di apparire contro il mainstream e la classe politica dominante. Solo così possono sperare nell’effetto trascinamento del voto sul taglio dei parlamentari nelle regioni in cui si sceglie anche il governatore. Nel caso succeda, poi, non è detto che se voto Sì al taglio dei parlamentari allora abbia voglia di votare Laricchia.

(Lucio Valentini)