Il libro importantissimo di Heinrich August Winkler ha un titolo che già dice tutto: “Grande storia della Germania. Un lungo cammino verso Occidente”. Pubblicato nel 2004 meritoriamente da Donzelli Editore non suscitò il clamore che avrebbe meritato. Eppure il libro si chiude con queste parole: “Il cammino della Germania verso l’Ovest è stato lungo e, in grandi momenti di transizione, assai singolare. E anche se tutta la storia è un storia di percorsi unici, taluni lo sono più di altri. Non è soltanto per loro stessi che i tedeschi devono ricordarsi distintamente della loro storia: sono tenuti a compiere questo sforzo non solo per se stessi, ma anche per l’intera Europa”.
Queste parole mi sono venute alla mente mentre vedevo scorrere sotto i nostri occhi la crisi politica tedesca di questi giorni e sicuramente delle prossime settimane. Un insieme di gaffe tremende e di rivalità goffe scoppiate nel seno del partito che ha governato la Germania per un quindicennio e che non è riuscito a esprimere dei capi decenti, dopo aver imposto a tutta l’Europa la stessa visione filistea che ha cacciato Heine dalla sua patria e l’ha fatto morire in una stanza di Parigi nelle sofferenze e nel bisogno. Per non parlare dell’unico economista tedesco appena presentabile: il povero Friedrich List, anch’egli costretto a emigrare negli Stati Uniti a causa della sua militanza liberale. E che quando tornò nel 1832 in Germania per morire suicida per i suoi insuccessi finanziari lo poté fare solo perché era console americano. Per non parlare dell’esiliato e geniale Karl Marx, ebreo impenitente come molti dei rivoluzionari dell’Ottocento e del Novecento e cittadino del mondo.
Il problema è quello sollevato con genialità da Winkler e questo perché la Germania, nel gioco di potenza appena schermato dalle regole dell’Ue, esercita un potere di influenza pesantissimo sulla tecnocrazia europea bruxellese e strasburghese. Ormai disponiamo di studi sociologici accuratissimi su questo tema che saranno la gioia degli storici futuri, unitamente agli archivi delle istituzioni europee che documenteranno ancora più accuratamente ciò che studi sincronici piuttosto che diacronici ci raccontano spesso con eleganza. La ragione di ciò non è solo nelle pulsioni di potenza: sarebbe banale credere in questo e farebbe torto al sincero spirito legal-burocratico di molti dei funzionari europei tedeschi. Si tratta piuttosto di un’egemonia culturale.
Rileggiamo List: allora reietto, ma lasciò una impronta importantissima nella cultura tedesca. List, pur profondamente liberista, non disdegnava l’intervento dello Stato nell’economia, purché esso aprisse la via sia alla potenza della nazione, sia al libero mercato. E qui apriva la strada a Walter Eucken, al teorico compiuto dell’ordoliberismo, che ha informato la politica economica tedesca e ha fatto sì ch’essa fosse dominate nell’Europa diretta dall’Ue: la crescita del potere statal-nazionale non era per List nazionalismo, ma il primo passo verso quell’obiettivo superiore dell’umanità ch’era per lui la futura confederazione universale che avrebbe dovuto accogliere tutti i popoli del mondo.
È ciò che la cultura politica tedesca democristiana erede del Centro cattolico di Weimar ha inverato nel dominio egemonico sull’Europa in questi anni, credendo di svolgere così una funzione universale e non solo nazionale: l’Europa del mercato realizzata grazie al dominio… tedesco: l’unico affidabile e seriamente preoccupato delle sorti dell’umanità, a differenza degli altri popoli privi di questa cultura e quindi soggetti alla giusta dominazione.
La crisi politica tedesca riaprirà, per queste ragioni profonde, non episodiche, il fronte pericolosissimo per la crescita economica europea e mondiale dell’ordoliberismo dispiegato, ossia dell’austerità. Nessuno dei partiti che sono usciti vincitori dalle elezioni contro il predominio della Cdu-Csu potrà sottrarsi alle sirene di questo richiamo. L’argine sindacale che la Spd ha nel suo seno potrebbe essere non forte abbastanza per spingere la socialdemocrazia tedesca verso la strada della sua salvezza anziché della sua lenta distruzione. La deflazione secolare imposta dalla politica export lead della cuspide della classe politica democristiana tedesca a tutto il mondo e non solo all’Europa (per il legame di questa cuspide con la Cina di cui spesso abbiamo detto su queste pagine) tracimerà nella rovina non solo della Germania, ma della stessa costruzione europea.
Bisogna prepararsi a un confronto che sarà di nuovo lungo e sempre più difficile. Il premier Mario Draghi sta già facendo tesoro della sua esperienza di presidente della Bce e della necessità di prevenire gli attacchi ordoliberisti tanto temuti anche dagli Usa. La prova sta nel restringimento dei margini di manovra che ha annunciato nel programma economico italiano: abbassare il debito diviene prioritario. Con la crescita, certo. E nel lungo periodo. Ma è meglio iniziare a prepararsi a un gioco di sponda diretto a togliere alla classe politica tedesca ogni occasione di scaricare sui partner europei le contraddizioni germaniche. Esse sono appena state annunciate ed esploderanno nelle prossime settimane.
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