Mentre Elly Schlein continua la sua ricerca del tempo perduto, fatto di eskimo, sciarpe rosse e idee radicali, sperando di riportare per strada e nelle piazze un popolo che, forse, non esiste più, una parte più sotterranea e radicata del Pd marcia decisa verso una soluzione diversa. Tornare al centro della politica.
Come sempre nessuno lo ammette ma all’orizzonte i venti di una potenziale crisi finanziaria soffiano tumultuosi e rapidi. Qualche fresca arietta è già arrivata come i primi preludi di autunno. I mercati, tramite il mitico Financial Times, fanno sapere che a breve i fondi partiranno all’assalto del debito italiano. In Europa la Meloni non batte chiodo su immigrati e parametri di bilancio. E la primavera potrebbe portare ad un risultato non esaltante per la coalizione di centrodestra unito ad un momento di stallo della cosa pubblica, aprendo una fase di necessario dialogo situazionale tra partiti oggi alieni.
Come ha insegnato la scorsa legislatura ormai tutto si può fare, basta trovare la faccia giusta e, al momento, quella di Paolo Gentiloni è perfetta. Ex rutelliano della Margherita, amico di Renzi al punto di appoggiarlo sin dai primi passi, ha mantenuto fede al Pd da commissario europeo. Già primo ministro, discendente di governanti da generazioni (un suo avo governò sotto il Re), moderato nei toni ma di centrosinistra, ha tutte le carte in regola per archiviare, in caso di bisogno, le due ragazze. La Elly barricadiera verrebbe velocemente messa da parte dal gruppo parlamentare in caso di crisi e la Giorgia nazionale, una volta caduta, farebbe fatica a rialzarsi in fretta. Ed ecco che il Pd, unito agli ex nemici, accetterebbe un governo se e solo se guidato da Paolo.
Il che aprirebbe alla definitiva archiviazione dell’esperienza Schlein. La ragazza lo sa. Perciò vuole modificare lo statuto e far “votare” su tutto anche i non iscritti, consapevole di avere una base di consenso refrattaria alle tessere ed all’impegno diretto. Mentre quella folla è propensa a uscire di casa quando si tratta di seguire le urla protogrilline del “sono tutti uguali, tutti a casa”. E perciò le serve una base di consenso esterna al partito per continuare a legittimare la sua presenza al Nazareno e l’uso del simbolo.
Queste due strategie, la prima del recupero della vocazione istituzionale del Pd e la seconda della rinascita di un movimentismo di sinistra, sono destinate a deflagrare con tempi che variano, ma che hanno un punto di svolta chiaro. Non tanto i voti delle europee, che pure conteranno, quanto come il Pd saprà rispondere alle crisi, varie, che la nuova fase di turbolenza finanziaria rischia di aprire.
A ben pensarci, infatti, il Governo sta solo gestendo una marea di emergenze che lo obbligano, mese dopo mese, ad accantonare ogni idea di programma elettorale che ha portato le forze di maggioranza a palazzo Chigi. Perciò potrebbe essere un’ipotesi concreta che la legislatura non si chiuda come è partita. E sarà il Pd a decidere se essere parte di una soluzione o se rifugiarsi nelle proprie rigidità. Per ora, quel che conta, è che la spaccatura interna è tale che già ci sono in campo due leader. Che mai ammetteranno di essere contrapposti, finché non sarà evidente a tutti quanto siano diversi. Perciò Elly, nel mentre cerca il megafono per scandire i suoi slogan, farebbe bene a dire in giro che il governo del Paese, con le sue responsabilità, è quello che vuole. Altrimenti sarà chiaro a tutti che lei, così come è, sta lì a guardare ad un passato che chiama futuro piuttosto che prendersi responsabilità per l’avvenire. Ci vorrà poco, un stagione o due perché tutto sia chiaro.
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