Mentre il Governo, che ha proibito gli emendamenti in Parlamento, sta emendando la legge di bilancio tra palazzo Chigi, palazzo Sella e tutti gli altri palazzoni romani che ospitano i ministeri, due cose appaiono certe: la crescita economica è stata sopravalutata dalla Nadef e con essa è stato esagerato anche l’impatto positivo di un disavanzo pubblico superiore alle previsioni. Il pessimo andamento del terzo trimestre lo conferma: dopo il dato negativo dell’estate, siamo a crescita zero (sia rispetto al trimestre precedente sia su un anno prima), proprio quando il prodotto lordo sarebbe dovuto ripartire per non entrare in recessione il prossimo inverno. La colpa principale ricade sui servizi, ma nell’insieme prevale il ristagno.
Tutte le stime pubblicate in queste settimane ci dicono che l’1,2% per l’anno prossimo allo stato attuale è solo una speranza, wishful thinking dicono gli inglesi. La Banca d’Italia prevede +0,8 in linea con il Fmi, la Confindustria addirittura +0,5% appena. La distanza con la Nadef è notevole. Il governo spera di spingere in su la crescita sostenendo i consumi interni e con una maggiore spesa in deficit, ma tra bonus, ristori, mini-condoni più o meno mascherati, non riuscirà a compensare il taglio ai risparmi e al potere d’acquisto provocato dall’inflazione. Se si aggiunge che la spesa per investimenti viene ridotta mentre il Pnrr ancora non si traduce in cantieri e posti di lavoro, non si capisce da dove potrà arrivare quel mezzo punto in più di Pil rispetto alle stime forse già ottimistiche di palazzo Koch.
La giornata del risparmio è stata l’occasione per fare il punto sui fondamentali della economia italiana. Il Governatore (ormai ex) Ignazio Visco ha presentato il suo ultimo intervento ufficiale: “Nonostante il consistente risparmio addizionale ancora detenuto – ha detto – la ricchezza finanziaria in termini reali si colloca oggi lievemente al di sotto dei livelli pre-pandemici, in linea con quanto osservato nella media dell’area dell’euro. Nello stesso arco di tempo la propensione a risparmiare è progressivamente tornata a calare, collocandosi già nella seconda metà del 2022 al di sotto dei valori precedenti la pandemia e scendendo all’8,5 per cento nella media dei primi sei mesi dell’anno in corso”.
Le famiglie hanno eroso il risparmio per compensare i consumi, le imprese per sostenere le loro spese senza ricorrere ai prestiti diventati troppo cari, con un costo del denaro balzato in un anno dallo zero al 5% con i tassi di riferimento della Bce portati al 4,5%. Visco ha detto che resteranno elevati a lungo, è questa la politica monetaria di tutte le banche centrali a cominciare dalla Fed, anche se l’inflazione si ridurrà, come già si è visto anche in Italia (+1,8% in ottobre rispetto al 5,3% di settembre).
Gli alti tassi di lungo periodo, quelli in base ai quali si regola il mercato finanziario, non sono solo la conseguenza di prezzi alla produzione e al consumo più elevati, ma di un indebitamento che sta diventando una bomba a orologeria nell’economia mondiale, come ha scritto l’Economist nel suo ultimo numero. Il pericolo viene dai debiti pubblici, a cominciare da quello americano e dai debiti privati, di famiglie e imprese, superiori al 100% dei redditi in Paesi come la Svezia. Con i tassi a zero era conveniente tenere al sicuro i propri quattrini o investirli in borsa, per consumare o investire a debito; adesso è una trappola micidiale.
Uno stimolo alla congiuntura può venire solo aumentando gli investimenti pubblici con un effetto acceleratore su quelli privati. Non si può dire che manchino le risorse, ci sono 200 miliardi del Pnrr più altri 100; in parte sono a fondo di perduto, il resto presi a prestito con tassi ancora al minimo. Da un anno si discetta non solo su come modularli e rivederli, ma chi deve gestirli: il Governo ha accentrato tutto a palazzo Chigi, Regioni e Comuni rumoreggiano con un palleggio di responsabilità su chi può e deve fare come e che cosa.
Gli investimenti come leva della crescita sono ancor più importanti anche in vista del ritorno tra soli due mesi del Patto di stabilità. Eppure non si sta discutendo di questo, il Governo e le opposizioni continuano a sfidarsi sui soldi che piovono dal cielo. Tutti speriamo che le colombe mediterranee prevalgano sui falchi nordici, e ancor più che passi almeno in parte la proposta italiana sugli investimenti strategici, ma in ogni caso la scelta di forzare il deficit e non ridurre il debito, senza nemmeno ottenere un impatto positivo sulla crescita, rappresenta un altro errore che finiremo per pagare. Anche se prevarrà la flessibilità, ciò non vuol dire che i Paesi ad alto debito (e l’Italia ha ormai il più alto nell’Ue in rapporto al Pil) non dovranno risanare i conti pubblici. Avvicinarsi al fatidico 3%, che resta comunque in vigore, lascia più margini di manovra nell’anno in cui dovrà avvenire il riallineamento. Invece, il 2024 comincerà con la prospettiva di estenuanti trattative destinate a impiombare la politica economica del Governo.
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