C’è chi sostiene maliziosamente che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, abbia una fastidiosa raucedine e per questa ragione limiti i suoi appelli televisivi, apparentemente appassionati quanto pervasi da un’ipocrisia che è destinata, forse molto presto, a essere smascherata.
Di fatto, Conte non parla più e per tanti è un sollievo. Si cominciano a ricordare come barzellette i suoi annunci sugli “interventi poderosi”, il successo degli “Stati generali” e il “piano Colao”, che deve essere diventato parte integrante del famoso tesoro dell’Isla del Coco, misterioso luogo poco distante dal Canale di Panama. Ma tutto questo, ovviamente, non rivela un quadro positivo.
In realtà, se non di fatto, Conte ha parlato qualche settimana fa per suggerire l’alleanza tra Partito democratico e pentastellati alle prossime elezioni regionali. Ma la sua linea politica è stata raccolta solamente in Liguria dal giornalista de Il Fatto Quotidiano Ferruccio Sansa, che però non sembra favorito contro il centrodestra del governatore Giovanni Toti. Insomma, in Liguria, impresa ardua, ma addirittura sconcerto per il mancato accordo nelle altre regioni, soprattutto in Puglia e nelle Marche, oltre che nelle altre dove si vota.
Il gran mediatore, l’uomo che è stato elogiato e lodato, a suo tempo, persino dall’acuto (si fa per dire) segretario del Pd, Nicola Zingaretti, si trova adesso in una situazione di difficoltà.
I pentastellati, che sono stati i supporter della presidenza Conte, che l’hanno tolto dall’anonimato, cominciano a disubbidire palesemente al premier incaricato e non danno retta alla sue scelte politiche. Più in generale c’è uno stato di fibrillazione sia all’interno del Movimento 5 Stelle sia all’interno del Governo, al punto che il supposto mediatore Conte rischia di essere travolto.
Vediamo alcuni punti che si trasformano in problemi sempre più acuti.
Giuseppe Conte è riuscito, forse unico nella storia italiana, a essere presidente di un governo alleato prima con la destra e poi con la sinistra. La sua scelta è stata giustificata da uno stato di necessità: impedire che si andasse al voto, dove il centrodestra avrebbe vinto. Ma reggere una situazione di questo tipo può andare bene fino all’arrivo di passaggi positivi, a delle proposte accettabili e a delle credibili scelte politiche di fondo.
Il fatto è che Conte, per sua scelta, resta l’alfiere del grande equivoco grillino, dell’antipolitica militante che spadroneggia in Italia da un trentennio nella confusione dei poteri, nell’attacco sistematico alla politica e nella carenza ormai congenita di una classe dirigente. Suo malgrado, quindi, Conte è diventato il simbolo e l’emblema del “grande equivoco”.
Sono in molti a dimenticarsi che il Movimento del comico non ha fatto tutto da solo, ma è stato spalleggiato e sostenuto da clan della magistratura, da settori del giornalismo di ogni tipo (c’è da raccogliere un’antologia di lodi scritte nel tempo per onorare la verità storica), da una parte della classe dirigente imprenditoriale e finanziaria che voleva limitare brutalmente il potere della politica.
L’esperimento non è riuscito fino in fondo perché l’anti-politica si è rivelata a un certo punto ancora più dannosa per gli stessi interessi dei poteri che l’avevano sostenuta. È stata sufficiente una grave crisi finanziaria, una recessione prolungata e poi una pandemia per mostrare i limiti di “tecnici” di ogni tipo, che non abbiano una visione complessiva: storica, realistica nel presente, credibile nel futuro. Insomma, si sta rivelando impossibile uscire da anni di crisi prima provocata, poi cavalcata, senza ritornare agli elementi fondamentali della politica.
È questa la vera causa della fibrillazione dei pentastellati. Incapaci di risolvere una situazione sempre più complicata e destinata a complicarsi, i teorici del “grande equivoco” sbandano da ogni parte: alcuni se ne vanno dal Movimento, altri disertano le votazioni in Parlamento, altri pensano addirittura a una scissione, altri rivedono le norme del Movimento, altri ancora si contrappongono in movimentisti e possibilisti di una, quasi, trasformazione in partito. Sono tutti i sintomi di una crisi che solo i media italiani possono mascherare in un duello tra Conte e Giggino Di Maio.
Si può anche scommettere che il “grande equivoco”, nonostante gli sforzi di tanti, sia arrivato al tramonto. Ma certamente anche la possibile crisi del “grande equivoco” non è in grado di risolvere i problemi del Paese nei prossimi anni: si pensi alla fibrillazione all’interno del governo che non si riduce solo al ricorso al Mes europeo, ma a una serie di divisioni su quasi tutto tra Pd e pentastellati.
Per avere un quadro preciso di questo contrasto basta pensare al referendum sulla riduzione dei parlamentari. Il No ha il sostegno di una parte consistente del Pd, mentre il segretario Zingaretti difende il Sì. Si crea un paradosso: se vince il Sì, vincono i pentastellati completamente in confusione; se vincono i No, una parte del Pd è pronta a festeggiare. Lecito chiedersi: ma di fronte a quale maggioranza ci troviamo?
Interrogandosi su questi problemi, si può pensare che le prossime settimane, tra l’apertura della scuola e le votazioni, si vivranno momenti decisivi. In questo momento è difficile confidare in positivi ribaltamenti di maggioranza. Si resterà politicamente nell’immobilismo? Tutto da vedere.
Resta la speranza dei piani da presentare all’Unione Europea per ottenere i fondi che facciano sopravvivere questo Paese, sperando che non perduri questo incredibile vuoto politico.