Tutti parlano, meno uno. Parla Conte e sembra di udire l’inquilino del Quirinale: linguaggio pacato ma tagliente, conciliante seppur minaccioso ma mai ultimativo.

E poi parla l’indomito ministro dell’Interno con la solita enfasi da “chiamata alle armi”, da “salvatore della patria”, da “padrone” dell’esecutivo: “o ci saranno 6 ‘sì’ oppure non tireremo a campare”. Come dire: saranno i fatti (ovvero, i “no” dei grillini), a dimissionare il premier, non certamente la Lega!



Ma se da un lato la musica sembra risuonare chiara, dall’altro imbarazza l’afonia della grancassa 5 Stelle e del suo leader, sempre più pro tempore, Luigi Di Maio. Un “silenzio pitico” che descrive meglio di ogni altro dato la cifra grillina. L’assenza di qualsivoglia iniziativa politica per togliere dall’angolo un Movimento tramortito dal risultato elettorale e squassato da una feroce resa dei conti interna.



Eppure la via d’uscita c’era eccome! 

C’era e continua ad esserci, servita – forse inconsapevolmente – dallo stesso “mister comizio”. Si chiedevano 6 “sì” e 6 “sì” (quelli più qualificanti per il Movimento) dovevano arrivare, subito! Senza indugio! In modo da rimandare nel campo avverso la palla e sfidare la proposta leghista con un altrettanto credibile, rapido e chiaro piano pentastellato.

A sfida, sfida e mezzo!

Invece silenzio, silenzio ed ancora silenzio. Un’assenza di politica tanto imbarazzante da non essere cancellata né dalla patetica consultazione popolare sulla fiducia al leader sconfitto, resa ancora più inutile dopo la presa di posizione pubblica del “patron” Beppe Grillo, né, tantomeno, dal tardivo “pellegrinaggio” al Quirinale.



Dilettantismo e populismo al potere. Questo lo Zeitgeist italiano 2.0: humus ideale per un Governo “Giuseppe Mattarella”.