Mario Draghi a Palazzo Chigi sarebbe un errore per l’Italia, perché si priverebbe dell’unico presidente della Repubblica capace di guidare il paese dopo la crisi, quando “dovremo gestire una situazione molto pericolosa sul piano debitorio e della nostra credibilità internazionale”. Continua la conversazione con l’economista Carlo Pelanda. Il governo è inadeguato e potrebbe non riuscire a “trovare un’armonizzazione tra lotta al contagio e ripresa attività economica”. Servirebbe un commissario: le leggi ci sono. Ma non c’è solo la guerra al coronavirus. Il paese potrebbe essere dilaniato da una guerra civile a bassa intensità, derivante dalle frizioni degli “imperi” – sono tre – che si contendono la penisola.



Draghi dovrebbe sostituire Conte?

L’Italia è governata da un sistema di partiti che accetterebbe un Draghi solo se la situazione economica diventasse catastrofica, per poi rimandarlo in pensione appena le cose migliorano. Io spero di no, perché il posto più importante in Italia è il Quirinale, non palazzo Chigi. Avremo più bisogno di una conduzione politica ad alta reputazione e capacità quando finirà il picco della crisi, perché dovremo gestire una situazione molto pericolosa sul piano debitorio e della nostra credibilità internazionale.



Perché una presidenza Draghi?

Draghi è una personalità esperta di prestigio internazionale. Il suo mandato sarebbe importante perché potrebbe porre le basi di una riforma costituzionale in senso presidenziale. In particolare se avvenisse per chiamata popolare costringendo i partiti ad accettarlo.

Il 2022 è lontanissimo. 

In un’emergenza come questa sono tutti chiamati a fare un atto di responsabilità. In questo momento abbiamo bisogno di un Quirinale ancora più credibile perché lì c’è il vero potere di indirizzo in quanto la Costituzione, non limitando con precisione i poteri presidenziali, li ha resi illimitati. Quando ero consigliere del presidente Cossiga ho studiato a fondo con lui tale materia, individuando situazioni in cui il Quirinale poteva avere costituzionalmente poteri d’eccezione.   



Un sostituto della monarchia.

Certo. Ed è l’unico vertice in cui lo Stato può fare sintesi. Noi abbiamo uno Stato orizzontale, dove il governo non comanda, mentre in tutti gli Stati più complessi c’è una struttura verticale con un decisore finale. La nostra Costituzione non lo ha previsto, appunto, per lasciare ad un compromesso tra partiti il vero comando, ma si è dimenticata di perimetrare il potere presidenziale lasciandolo, di fatto, illimitato.

Nel frattempo questo governo dove ci porta?

Difficile dire. Abbiamo un governo e un presidente del Consiglio inadeguati, stanno imparando qualcosa ma troppo lentamente. Di conseguenza le altre strutture del paese sono costrette a colmare, come possono, i gap del governo. È soprattutto su questo che Mattarella dovrebbe intervenire.

Che cosa dovrebbe fare?

Inserire questa crisi nell’oggetto di competenza del Consiglio supremo di difesa che è presieduto dal Presidente della Repubblica. Se è stato fatto, non ne abbiamo evidenza.

Quale provvedimento andrebbe adottato per primo?

Come ho detto sopra, si deve trovare un’armonizzazione tra lotta al contagio e attività economica. Non si può bloccare l’Italia per un altro mese, altrimenti salta tutto, con un comando forte e centralizzato.

Che cosa intende?

È lo stato di eccezione. Il comando e la gestione dell’emergenza vanno dati alla struttura militare, coordinata dal Consiglio supremo di difesa.

Quanti soldi servono?

Per riuscire a bilanciare la recessione in atto, che è spaventosa, avremmo bisogno di 250 mld di euro, di cui almeno 120 per dare liquidità alle imprese. 20-30 mld subito, poi il resto. Siamo già in ritardo di 3 settimane.

Il decreto di aprile potrebbe arrivare a 50 mld. Ieri sera il governo ne ha annunciati altri 4,3 ai Comuni per aiutare le famiglie.

Cifre irrisorie nel senso che non sostengono la fiducia delle persone sul loro futuro economico per eccesso di limite della garanzia. D’altra parte il governo non si muove perché siamo uno Stato troppo indebitato e non abbiamo garanzie sufficienti. Non tanto per fare più debito: un 70 miliardi in più di titoli coperti dal Qe della Bce l’Italia potrebbe emetterli. Ma se poi non ne cancella una parte moriremo soffocati dal debito durante la ripresa.   

Altre strade?

La convergenza euroamericana che le ho detto è quella maestra, ma non breve. Pertanto dobbiamo trovare un modo per ridurre il fabbisogno di capitale in deficit, appunto, facendo ripartire il prima possibile l’economica nonostante il rischio di contagio.

Come?

Per esempio, presidi medici mobili diffusi ad alta densità territoriale, decine di ospedali prefabbricati (poi smontabili e trasferibili nei paesi poverissimi se serve o messi a magazzino per impieghi futuri d’emergenza), percorsi sicuri per i lavoratori sia nei transiti sia nei luoghi di lavoro, ecc. Dimenticavo: navi ospedale riallestendo quelle da crociera, da mandare al Sud, telefonini a tutti e app con le quali si riceve l’istruzione precisa di dove andare per un controllo, eccetera.    

Da dove si comincia?

Serve una gestione commissariale molto più seria che prenda in mano questi aspetti critici, cioè la verticalità necessaria per la gestione delle emergenze di massa.

Timori per la democrazia?

Nessuno. Le leggi ci sono. Vedi alla voce Zamberletti e sua gestione del terremoto sia del Friuli del 1976 sia dell’Irpinia nel 1980. Il commissario, in Italia, una volta dichiarato lo stato di emergenza può operare con strumenti d’eccezione vincolati solo al rispetto generico dell’ordinamento giuridico. Per questo insistevo sopra sull’ingaggio del Consiglio supremo di difesa, lasciando al governo l’intendenza.

Attualmente l’Italia sembra avere una collocazione geopolitica ambigua tra Usa e Cina. In settimana sono arrivati, quasi en passant, anche gli aiuti russi.

Quadro complesso. La Russia ha la priorità di contrastare la sfera di influenza cinese globale e nell’Eurasia. Sembra essere alleata della Cina, ma in realtà lo sta fingendo perché non riesce a dialogare con l’America. Poi c’è il Vaticano. Il suo obiettivo è arrivare a una composizione diplomatica con Pechino per avere il permesso di nominare i vescovi. Nello stesso tempo esercita una forte influenza sul Quirinale.

C’è stato uno scambio tra Santa Sede e Pechino?

Sì: lo swap è stato l’accordo sui vescovi e la libertà di nominarli in cambio di un mattone fondamentale dell’assetto occidentale com’è l’Italia. Il Vaticano sa bene che se formalizza la sua alleanza con la Cina mette in seria difficoltà l’America. Ma il regime comunista cinese ha problemi a lasciare autonomia alle religioni, considerate una mina. Il Vaticano, invece di usare questa paura del regime per ricattarlo, cosa possibile grazie a gruppi di cattolici in clandestinità, usa il metodo gesuitico di compiacere il potere, sbagliando strategia per i suoi interessi e minando l’alleanza tra democrazie. 

Qual è in questo contesto la nostra attuale situazione?

Un Quirinale debole, un assetto costituzionale che – formalmente – non permette lo Stato verticale, e l’infiltrazione a livelli molto alti di governo da parte di interessi cinesi, fanno dell’Italia in questo momento un soggetto politico di collocazione incerta e ciò la danneggia.

Parlare di infiltrazioni cinesi è molto grave.

La Cina in parte remunera bene, in parte ha creato situazioni di collaborazionismo. Al modo dei francesi, che ben conosciamo. Solo che i cinesi sono molto più bravi. Tuttavia, l’Italia ha persone che si stanno opponendo, la resistenza c’è. Per cui io non vedo alla fine il pericolo che l’Italia cada nell’orbita cinese.

Non le sembra che l’America di fronte a questo scivolamento strategico non sia abbastanza risoluta?

L’America mantiene un fortissimo presidio in Italia, con un solo problema: non ha in bilancio di investire altre risorse oltre quelle attuali, perché ha spostato la maggior parte degli investimenti sul teatro asiatico. Gli Usa non intendono abbandonare l’Italia, né possono permetterselo.

Ne è convinto nonostante tutto quello che sta accadendo?

Sì: la Nato è molto più robusta di quello che appare. Il nostro rischio non è tanto essere conquistati dai cinesi, ma avere una guerra civile interna a bassa intensità, come durante la guerra fredda. Un motivo in più per avere Draghi al Quirinale. Con la Cina ci interessa avere buone relazioni, commerciali innanzitutto, ma sotto la soglia politica.

Americani permettendo.

Si spiega loro come stanno i nostri interessi. E si tratta: manteniamo le basi americane, mandiamo i soldati nei fronti caldi se necessario, come stiamo facendo adesso, ecc. In cambio si chiede un margine di iniziativa commerciale con Cina e Russia, concordandone i limiti.

Servono politici graditi agli Usa.

Non graditi, ma credibili, capaci di essere rispettati.

Di chi è questa politica estera?

Me la spiegò Giulio Andreotti.

(Federico Ferraù)

(2 – fine)

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