Dal fronte dell’inflazione arrivano segnali contraddittori. Si sta spegnendo la fiammata del gas e delle materie prime, ma si riscalda il carrello della spesa. Sembra un gioco perverso, mentre le pressioni dal lato dell’offerta si allentano, ecco che si presenta la spinta dal lato della domanda, destinata a farsi sempre più pressante.
Infatti, diventa prioritario scegliere come consentire un recupero delle buste paga senza cadere nella rincorsa prezzi-salari che rende l’inflazione difficilmente controllabile. La Bce s’appresta ad aumentare ancora i tassi d’interesse, Christine Lagarde ha parlato di mezzo punto percentuale, ma cresce il dubbio che questa sia la medicina giusta.
“L’inflazione è il reale problema di tutti e non credo che si possa risolvere soltanto con una politica monetaria restrittiva”, ha dichiarato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ricevendo il suo collega francese Bruno Le Maire il quale ha introdotto un argomento che chiama in causa la politica di bilancio, cioè quella che spetta direttamente al Governo: “Le politiche restrittive delle banche centrali sono inefficaci se le finanze pubbliche continuano a espandersi”, ha detto. Quindi, pur nella loro autonomia, la Bce e i Governi debbono coordinare i loro interventi, così da evitare che la lotta all’inflazione prenda la strada peggiore: la recessione.
Il legame tra finanze pubbliche e prezzi ha fatto strada dopo il lavoro pionieristico di Thomas Sargent (premio Nobel nel 2011) insieme a Neill Wallace che risale al 1981. La Banca dei regolamenti internazionali (detta anche banca delle banche centrali) ha pubblicato un paper economico intitolato “Deficit fiscale e rischi di inflazione”. Si tratta di una ricerca sulle principali economie avanzate in un periodo di ben quattro decenni. Il risultato è che “quando un Paese continua a mantenere un disavanzo di bilancio, ogni tentativo di controllare l’inflazione da parte delle autorità monetarie può provocare maggiore inflazione futura”.
Tutti i Paesi hanno speso in disavanzo per combattere gli effetti economici della pandemia e questo ha contribuito a creare un ambiente favorevole all’inflazione, non basta dunque aumentare il costo del denaro, anzi può essere controproducente perché costringe i Governi a finanziarsi sul mercato con costi più elevati, il che a sua volta aumenta sia il deficit sia l’inflazione. Di qui, spiegano gli economisti della Bri, la necessità di politiche coordinate: insomma, Banche centrali e Governi debbono agire in piena sintonia, ciò vale per gli Usa come per l’Eurolandia. La Gran Bretagna guidata da Theresa May che ha applicato la ricetta opposta (più deficit e tassi più alti), ha rischiato il tracollo. Anche un mega studio dell’economista americano John Cochrane (558 pagine) mostra che “non è la quantità di moneta, ma il debito pubblico a determinare l’aumento dei prezzi”.
Se la teoria fiscale dell’inflazione è fondata, allora l’Italia si trova ancora una volta su un piano inclinato. La riduzione del debito e del deficit come effetto automatico della crescita nel periodo 2021-2022, non si ripeterà quest’anno: anche se verrà evitata la recessione, il prodotto lordo salirà di mezzo punto appena. A parità di politiche, dunque, la finanza pubblica sarà sotto stress e l’Italia rischia di diventare l’esempio pratico della teoria. Se il Governo taglia la spesa e/o aumenta le imposte quando la Bce rincara il costo del denaro, il risultato sarà un’ulteriore riduzione della crescita senza per questo ottenere benefici risolutivi dal lato dell’inflazione. Tutto ciò mentre incombono scadenze che hanno un forte impatto economico e sociale.
Che cosa accadrà ai bonus e ai sostegni quando (dal mese prossimo) verranno a scadere? Il superbonus ha già offerto un primo assaggio di quel che può diventare il “ritorno alla normalità”. Salvaguardare il potere d’acquisto creando nuovo deficit è controproducente, lasciare che sia il mercato a provvedere con l’aumento dei salari diventa rischioso in generale e impossibile per una vasta platea di piccole imprese, quelle che hanno resistito alla crisi, ma non sono salde abbastanza per salvarsi ancora. Crescerà dunque la richiesta di aiuti da parte del Governo. C’è chi, soprattutto a sinistra, agita la bandiera del salario minimo, ma, al di là dei costi tutti da stimare per la stessa finanza pubblica, potrà proteggere le fasce più fragili, tuttavia non è sufficiente a salvare i redditi dei lavoratori dipendenti.
Un bel puzzle, per gli economisti è un campo di ricerca; per il Governo è proprio questa la sfida dei prossimi mesi.
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