Qualche dubbio resta. Non tanto sul fatto che Raisi sia morto in un incidente, quanto sui motivi per cui l’elicottero su cui viaggiava sia stato utilizzato nonostante si trattasse di un mezzo vecchio, sovraccarico, e in volo in condizioni meteo proibitive dal punto di vista della visibilità. Una questione da risolvere internamente, però, senza lasciare adito a possibili mani straniere intervenute nel decesso del presidente iraniano. Del resto, il regime, nonostante lo scontento popolare, mostra di essere ancora abbastanza saldo. Certo, i pasdaran, forti del potere acquisito anche dal punto di vista economico, con traffici illeciti che si estendono fino al Sud America, sembrano avere sempre più peso e possono esercitare la loro forza affidando anche a Hezbollah, Hamas e Houthi il compito di tenere sotto scacco la regione mediorientale con le loro azioni terroristiche e militari. Ma questo non significa che ci siano vere fratture all’interno del regime.
Bisogna sostituire Raisi e occorre pensare anche al successore della guida suprema Khamenei, che però vorrebbe passare il testimone al figlio. Ma sgomitare per riuscire ad accaparrarsi le cariche più importanti, spiega Stefano Piazza, giornalista e scrittore esperto si sicurezza e terrorismo, non significa aprire crepe nel governo di un Paese in cui la repressione di qualsiasi dissenso è immediata e dura. Qualche problema potrebbe arrivare dall’Isis, lo Stato islamico, storico nemico sunnita del regime sciita: questo potrebbe essere il momento buono per altri attentati, dopo quello sanguinosissimo del gennaio scorso vicino al mausoleo in cui è sepolto il generale Soleimani. Intanto, a Teheran si sono tenuti i funerali di Raisi, del ministro degli Esteri Amirabdollahian e degli altri deceduti nell’incidente. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Mehr c’erano milioni di persone: c’erano rappresentanti di Russia, India, Qatar e molti altri stati e anche Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas.
La versione ufficiale è che Raisi e gli altri passeggeri che erano con lui non sono morti in un attentato: quella dell’incidente è una spiegazione che regge?
Non c’è nessun dubbio che sia stato un incidente. L’elicottero caduto era stravecchio e nell’area c’era maltempo. Il pilota evidentemente è stato obbligato a proseguire nel volo: avrà fatto presente quali erano i rischi in quella situazione, ma gli sarà stato detto che occorreva tornare a tutti i costi. A questo punto l’elicottero, sovraccarico di persone (erano nove), è sceso di quota perché non si vedeva più niente, il comandante ha cercato una visuale, ma è finito contro la montagna.
Restano elementi ancora da chiarire?
Ci sono comunque delle stranezze: non si capisce perché ci fossero così tante persone su un elicottero così vecchio, né perché abbiano voluto proseguire nel percorso pur sapendo che era rischiosissimo farlo, e neanche perché il presidente sia stato fatto salire su un aeromobile del genere. È possibile anche che il mezzo che trasportava Raisi volasse da solo e non insieme ad altri due elicotteri come era stato detto, altrimenti lo avrebbero identificato più facilmente una volta precipitato. Probabile che gli altri due mezzi, viste le condizioni, non abbiano voluto volare. Questioni che devono chiarire gli iraniani al loro interno: non c’è niente che possa far pensare all’intervento di terzi.
Ma la situazione del regime, i rapporti tra le sue varie anime, giustificano qualche dubbio sull’incidente, o almeno indicano che ci sono delle tensioni, delle lotte di potere ancora irrisolte?
Difficile dirlo. Ci sono lotte di potere tra gli ultraortodossi e i cosiddetti riformisti: Khamenei, d’altra parte, dovrebbe passare la mano perché è molto vecchio e malato: vuole lasciare il potere al figlio. Ma non si può certo collegare l’incidente con la situazione che c’è a Teheran.
Come sono i rapporti tra l’ala religiosa e quella militare, fra ayatollah e pasdaran?
I pasdaran sono il gruppo più potente che c’è. Sono ben armati e hanno i soldi perché trafficano in tutti i modi: droga, esseri umani, armi, basta pensare a quello che fanno in Sud America, nella Triple Frontera, fra Argentina, Brasile e Paraguay. È una zona in cui si può fare quello che si vuole. Lo fanno per autofinanziarsi, infatti i capi sono ricchissimi.
Hanno legami con il terrorismo?
Sì, alla fine sono un gruppo terroristico. Organizzano, finanziano gruppi: hanno fatto saltare l’ambasciata israeliana a Buenos Aires. L’Iran esporta terrorismo, lo fa con gli Hezbollah, Hamas, con la Jihad islamica e anche direttamente. Difficile dire però se ci sia uno scontro fra religiosi e militari.
Ora ci dovrebbero essere delle elezioni, il regime può permettersi un’altra votazione pilotata come quelle che si sono tenute finora, rischiando un’ulteriore diminuzione dell’affluenza elettorale sotto il 41% dell’ultima tornata?
Non ci sono comunque le condizioni perché cambino gli assetti di potere. Si terranno le ennesime elezioni pilotate (il 28 giugno nda) e anche se la gente andrà sempre meno a votare, andranno avanti, reprimendo qualsiasi voce di dissenso. Per fare una rivoluzione, un colpo di stato, ci vogliono i militari, la polizia, ma in questo momento gli ayatollah controllano tutto.
L’Isis, nemico storico dell’Iran in nome della lotta fra sunniti e sciiti, può approfittare della situazione per mettere a segno qualche attentato?
Ha già colpito più volte, è possibile che lo faccia ancora. Questo è il momento ideale. Le organizzazioni terroristiche agiscono sempre per opportunità. È una eventualità da prendere seriamente in considerazione.
C’è qualcosa che può scardinare il regime iraniano, metterlo in difficoltà, oppure ormai ha troppi appoggi anche esterni, come Russia e Cina, per rischiare qualcosa?
Chi detiene il potere terrà duro e resterà al suo posto. Potrebbe succedere qualcosa solo se qualcuno dall’interno spingesse per il cambiamento. Ma se non c’è nessuno in grado di sostenere una rivolta, è uno scenario che non si verificherà mai. Dobbiamo smetterla di leggere queste situazioni all’occidentale: in Iran ci vuole la forza, la determinazione, le persone che sostengono una rivolta. Ma non c’è niente di tutto questo. Anche a livello regionale, Teheran continuerà nella sua politica di appoggio a Hezbollah, Hamas e Houthi.
(Paolo Rossetti)
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