Le indiscrezioni riportate da Times of Israel riguardano un incontro fra il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer e il neo-eletto presidente americano Donald Trump. Un faccia a faccia al termine del quale il nuovo inquilino della Casa Bianca non avrebbe escluso di appoggiare un attacco israeliano ai siti nucleari dell’Iran e addirittura si sarebbe spinto a ipotizzare un ruolo attivo degli USA. Che stavolta si passi veramente all’azione contro Teheran non è affatto da escludere, osserva Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica. Ci sarebbero infatti le condizioni ideali per attaccare il regime degli ayatollah, dopo la serie di sconfitte che l’Iran e i suoi proxy hanno dovuto subire. L’attacco, però, potrebbe anche essere solo minacciato per indurre le autorità iraniane a cercare un accordo sul nucleare con l’Occidente. Trump, d’altra parte, ha nuovamente indirizzato i suoi strali pure contro Hamas sugli ostaggi, promettendo, testualmente, “l’inferno” se non saranno liberati prima del suo insediamento.
Professore, il tanto discusso attacco all’Iran da parte di Israele diventa sempre più probabile?
Il momento è particolarmente favorevole a un attacco, perché gli alleati dell’Iran sono stati tutti indeboliti nei mesi scorsi, basta pensare a quello che è successo in Siria, ma anche a Hezbollah e Hamas. Inoltre, la Russia è distratta dalla questione ucraina e la Cina non si esporrà. Militarmente è un momento molto favorevole. In più, gli israeliani hanno distrutto gran parte delle difese antiaeree iraniane, sperimentando cosa vuol dire andare a bombardare l’Iran, con tutte le difficoltà tecniche che questo comporta: tra le basi israeliane e quelle iraniane ci sono mille chilometri di distanza e ai caccia servono almeno due rifornimenti, un’operazione molto complessa da un punto di vista anche militare.
Insomma, se si vuole attaccare, questo è un momento particolarmente propizio?
Ora o mai più: sì, è certamente un momento molto favorevole. In più c’è questa vacatio per cui Trump può fare e non fare, trovandosi in una situazione in cui governa di fatto, ma non ufficialmente. In caso di attacco, se questo riuscisse molto bene potrebbe dire che è merito suo, altrimenti potrebbe dire che è colpa degli altri. Gli iraniani, comunque, tutto questo l’hanno capito, tanto è vero che hanno lanciato più messaggi accondiscendenti.
Per muoversi Israele ha bisogno degli americani?
Gli israeliani da soli questa operazione non la possono condurre, non la faranno mai. Non possono essere il gendarme di tutto il Medio Oriente, devono avere l’appoggio degli USA, che magari non si sporcano le mani, ma forniscono sostegno a livello logistico, informatico.
È l’unico scenario possibile?
C’è un’altra interpretazione, altrettanto plausibile: che questa sia una minaccia per portare l’Iran a più miti consigli e, senza dover usare le armi, arrivare rapidamente a un nuovo accordo sul nucleare più favorevole all’Occidente. Una delle tante minacce che Trump utilizza per raggiungere i suoi obiettivi. La prima ipotesi, comunque, quella dell’attacco, non è affatto irrealistica e il momento più propizio è prima del 20 gennaio.
L’insediamento di Trump è lo spartiacque di tante vicende?
Trump vuole arrivare alla presidenza dicendo: “Guardate, non ho ancora messo piede alla Casa Bianca, però ho già trovato una serie di soluzioni”. È il suo delirio di onnipotenza, ma se tutto questo accadesse lo renderebbe molto felice.
Un’eventuale operazione militare significherebbe una vera e propria guerra con l’Iran? Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha dichiarato che il Paese è pronto, ma che Israele deve stare attento perché si potrebbe scatenare una guerra a livello mondiale: è così?
In questo momento oggettivamente è difficile che qualcuno vada in soccorso al regime. E d’altra parte, far fuori l’Iran farebbe comodo a tanti, arabi e no. L’Iran è un Paese assolutamente destabilizzante: molti sarebbero contenti di un’operazione di questo genere.
Il regime iraniano potrebbe essere disposto a un accordo, a una trattativa sul nucleare? Conviene, viste anche le debolezze interne degli ayatollah?
Credo che potrebbe trattare. La società iraniana è comunque, in questo momento, effervescente, in subbuglio, anche se non so dire se le piazze siano così piene: capire cosa succede in Iran è sempre molto difficile. Certo, il regime è consapevole della sua debolezza.
Teheran dice di essere pronta a rispondere agli attacchi, ma un Paese in cui si raziona l’energia elettrica non è nelle condizioni ideali per difendersi. Sono messaggi di propaganda?
Bisogna anche vedere in quali direzioni verrebbero portati gli attacchi. Ci sono due ipotesi: che vengano prese di mira le raffinerie e i pozzi petroliferi, mettendo ancora più in ginocchio il regime, o che ci si diriga verso i siti nucleari. Oppure tutt’e due. L’attacco non lo ritengo un’ipotesi così peregrina: molti la stanno studiando. Gli israeliani in maniera più aperta, ma anche altre cancellerie.
Chi in particolare?
Gli americani sicuramente, anche se un attacco di questo genere sarebbe concordato con l’Arabia Saudita, la Giordania, con altri Paesi sunniti.
Togliere di mezzo l’Iran significherebbe anche aprire la strada ad altre intese sulla linea degli Accordi di Abramo?
Sì, ma per questo bisognerà risolvere la situazione a Gaza, c’è un’opinione pubblica di cui tenere conto. L’ulteriore indebolimento dell’Iran sarebbe una condizione necessaria ma non sufficiente. Di sicuro sono giorni in cui occorre tenere le antenne alzate.
(Paolo Rossetti)
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