L’Iran non vuole la guerra. Anzi, il governo che fa capo al nuovo presidente Pezeshkian, come promesso in campagna elettorale, vuole cercare di togliere le sanzioni, puntando a un nuovo accordo con l’Occidente (gli USA) per il nucleare. Non potrà ottenerlo in questo momento, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, perché dovrà attendere l’esito delle elezioni statunitensi, ma l’intenzione c’è tutta. Il peso delle sanzioni si fa sentire: a Teheran, anche se i farmaci sono esclusi dall’embargo, si fa fatica a trovare medicine occidentali e sono segnalati casi di persone morte per questo. Gli iraniani hanno grosse difficoltà anche con il giacimento di gas di South Pars, per il quale avrebbero bisogno del supporto tecnologico dell’Occidente.



Tutti segnali che sembrano allontanare l’idea della guerra, la convenienza del regime è di allentare la tensione con quella parte di mondo che vede l’Iran come nemico. Certo, non potrà perdere la faccia per l’uccisione del capo di Hamas a Teheran, ma da qui a dire che vuole un’escalation ce ne corre. Gli stessi Hezbollah, dopo l’azione di domenica contro Israele, hanno detto che si ritengono soddisfatti di quello che hanno messo in atto e non proseguiranno oltre.



Qual è la situazione attuale dell’Iran? Il nuovo governo ha veramente inaugurato una politica riformista?

Il nuovo presidente ha ottenuto in parlamento una larghissima maggioranza: 247 voti su 288. Aveva promesso di formare un governo di larghe intese e così è stato. La ragione di questo consenso risiede anche nel fatto che la lista dei ministri è stata concordata con Khamenei; alcuni sarebbero stati suggeriti, se non nominati, dalla guida spirituale. Ma nella lista ci sono personalità di rilievo, gente che ha partecipato ai precedenti negoziati sul programma nucleare. Il nuovo presidente ha promesso che avrebbe fatto di tutto per allentare le sanzioni contro il Paese: non credo che l’accordo sarà possibile in questo momento, ma subito dopo le elezioni americane cercherà di fare passi concreti. Anche le risposte che ci sono state finora sul piano militare sono state estremamente moderate, compresa quella degli Hezbollah, che sono stati mandati avanti. Domenica hanno detto di aver raggiunto i loro obiettivi e che si sarebbero fermati lì.



Ma le sanzioni contro l’Iran stanno avendo effetto?

Le sanzioni stanno mordendo: a Teheran mancano medicine essenziali, 40 persone sono morte per questo. Mancano farmaci occidentali, anche se non sono compresi nelle sanzioni: diversi motivi, tra cui la difficoltà di pagare, fanno sì che oggi ci sia carenza. E i medicinali locali sono meno efficienti. Questo discorso vale anche per altri beni. I ricchi riescono a cavarsela, ma i poveri molto meno. Pure per questo il quadro politico è di estrema prudenza e di attesa.

Gli iraniani avrebbero grosse difficoltà a sfruttare uno dei più grandi giacimenti di gas naturale al mondo, a South Pars, perché avrebbero bisogno di tecnologia che non hanno. Teheran, quindi, ha bisogno dell’Occidente?

Sì, nonostante la presenza cinese e russa. Credo che questo governo di unità nazionale abbia il forte desiderio di arrivare a un accordo con l’Occidente. Anche il continuo rinvio della risposta all’uccisione di Haniyeh va in questa direzione. L’Iran non ha voglia di entrare in una guerra: politicamente e militarmente sarebbe molto complicato. Sarebbe un autogol. Non so se la società iraniana accetterebbe una situazione del genere. Poi, sinceramente, agli iraniani non interessa molto degli israeliani e neanche dei palestinesi. La società civile continua ad evolversi e sta diventando sempre più laica. Il governo sente queste difficoltà.

Una guerra potrebbe significare l’implosione del regime?

Sarebbe molto difficile da giustificare dal punto di vista politico. Visto lo scarso entusiasmo per questo regime da parte di molti, potrebbe aumentare ulteriormente le difficoltà del governo. Nessuno ne sente la necessità. Teniamo conto anche che Khamenei ha più di 80 anni e c’è una successione complicata da gestire.

Insomma, in nessun senso è il momento giusto per affrontare un conflitto. Anche la risposta all’attentato contro il capo di Hamas ne terrà conto?

La faccia va salvata, ma nessuno vuole un’escalation; la risposta verrà affidata a terzi. In parte, l’operazione di domenica degli Hezbollah doveva essere una prima risposta, poi Israele ha anticipato la sua azione. Alla fine, i razzi lanciati dal Libano sono stati 300 e non 600 o mille come si pensava, anche se l’hanno venduta come parziale vittoria. Dipende molto da cosa succederà negli USA, se vince Trump o meno, e da come si evolverà la situazione di Gaza: non credo che questa guerra possa andare avanti all’infinito. Gli iraniani hanno sempre detto che se ci fosse stata una tregua non avrebbero proceduto a nessuna reazione.

(Paolo Rossetti)

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