Chiuso senza risultati il confronto sullo scacchiere europeo, il Governo Meloni deve affrontare le prossime scadenze interne. A meno di clamorose novità, Fratelli d’Italia dovrebbe vincere nel Lazio con il suo candidato e la coalizione di destra-centro dovrebbe prevalere in Lombardia, si vedrà domani con quali equilibri interni all’alleanza. In ogni caso ciò rafforza un Esecutivo che, superato lo scoglio del bilancio pubblico con una scelta prudente e in continuità con il Governo Draghi, deve affrontare adesso le sfide più complicate, dalle riforme (giustizia, fisco, burocrazia e la sempre rinviata concorrenza) alla realizzazione del Pnrr. Se sulle prime può prendere tempo e rinviare come s’appresta a fare con la grana dei balneari, sul Piano il tempo è tiranno.



Il Consiglio europeo straordinario si è risolto in un ordinario bla-bla-bla sui tre dossier bollenti sui quali bisognava prendere decisioni comuni: immigrazione, competitività, guerra in Ucraina. È anche durato meno del previsto, perché non c’era nulla da negoziare in concreto, non un euro in più è uscito dal cappello su nessuna delle questioni più urgenti, a cominciare proprio dal sostegno all’Ucraina. I media sono sommersi dalle parole, dalle quali però non emergono scelte precise. Di concreto c’è un clima politico peggiorato del quale la querelle tra Macron e Meloni è solo una pur fragorosa manifestazione.



Sull’immigrazione viene enfatizzato un risultato che si riduce a un invito affinché i Paesi membri mobilitino fondi e mezzi per rafforzare le frontiere, a cominciare da quelle marittime. Quanti fondi, quali mezzi, come rafforzarle? Chissà. Che si fa con gli sbarchi e con le Ong? Boh. Macron e Meloni non si sono mai amati, ma il vero gelo è sceso dopo il conflitto sui migranti della Ocean Viking. Non solo: nel 2016 prima Renzi poi Gentiloni, nel 2018 con Conte e via via fino a Draghi, dall’Ue sono usciti tanti impegni solenni a una politica comune che non c’è mai stata e non ci sarà finché verranno innalzate le bandierine nazionali.



Sull’Ucraina restano le divergenze sulle armi offensive (la Lega è contraria, ha ribadito Calderoli) e non a caso Zelensky è andato prima a Londra dove non ci sono remore (così sembra) a concedere aerei da combattimento. La cena all’Eliseo con Macron e Scholz, diventata la pietra dello scandalo in Italia, s’è risolta in chiacchiere, come i dolcetti di carnevale.

Sulla “sfida americana” si procede in ordine sparso. Scholz e Macron hanno ottenuto un via libera agli aiuti di Stato purché concentrati nei settori tecnologici, il tabù è rotto e vedremo una corsa dei Governi che possono spendere, prepariamoci ad assistere a tutto e di più. Roma farà la sua parte, ma resta un vaso di coccio, anche se proprio l’Italia ha la fetta più ampia di fondi europei (ben 200 miliardi di euro) che però non riesce a spendere. Nel preparare il Consiglio gli sherpa italiani avevano giocato la carta dello scambio: via libera alla modifica delle regole sugli aiuti di Stato, ma anche via libera alla flessibilità nella gestione dei fondi concordati (come ad esempio quelli legati al Pnrr). Sono due partite distinte: la prima fa parte del programma che l’Ue deve mettere in campo per rispondere al piano di Joe Biden; la seconda riguarda gli accordi che i singoli Stati hanno già sottoscritto con l’Unione che ha scelto di finanziare con emissioni comuni i singoli Pnrr.

Le conclusioni approvate nella notte tra giovedì 9 e venerdì 10 riportano molte belle frasi: “Le procedure devono essere rese più semplici, più rapide e più prevedibili, e devono consentire di fornire rapidamente un sostegno mirato, temporaneo e proporzionato, anche attraverso i crediti d’imposta, nei settori strategici per la transizione verde e che subiscono l’impatto negativo dei sussidi esteri”. Nel contempo, i Ventisette vogliono rendere più facile l’uso dei fondi comunitari: “A tal fine, il denaro europeo dovrebbe essere impiegato in modo più flessibile. Dovrebbero anche essere esplorate opzioni per facilitare l’accesso ai finanziamenti. Il Consiglio europeo invita la Commissione e il Consiglio a garantire la piena mobilitazione dei finanziamenti disponibili e degli strumenti finanziari esistenti”. Questo invito comprende anche la possibilità di allungare i tempi del Pnrr? Roma vorrebbe ottenere un anno in più, la partita non è chiusa, tuttavia il comunicato è generico e non fa accenno a scadenze temporali.

L’Italia ha un grosso problema: i programmi del Pnrr rischiano di non essere rispettati per almeno 40 miliardi di euro (stime ottimistiche); molti Comuni non riescono a partecipare ai bandi; mancano figure professionali adeguate e occorrono 375mila lavoratori in più secondo la Banca d’Italia; molte delle gare sono andate deserte perché i prezzi di partenza sono risultati molto al di sotto di quelli reali che hanno sconvolto i budget delle imprese. Senza contare che alcune delle riforme già concordate con Bruxelles sono in fase di ripensamento. Non è un negoziato facile anche perché l’Italia ha già avuto le prime tre tranche di finanziamenti.

Il Consiglio ha preso atto dell’intenzione da parte della Commissione di proporre l’istituzione di un fondo sovrano per sostenere le imprese nella transizione verde (un cavallo di battaglia italiano). Sarà oggetto di approfondimento nei prossimi mesi. È una buona idea che probabilmente non passerà per l’opposizione di molti Paesi guidati dalla Germania. Non è che l’inizio, la battaglia continua, intanto bisognerà dimostrare che, oltre parlare, si è in grado di fare. E l’Italia di parole ne ha sempre molte, di fatti molto pochi.

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