L’eterogenesi dei fini per Wilhelm Wundt è uno dei grandi fattori della storia. I peggiori disastri (o le grandi fortune) accadono sempre perché ognuno ha calcolato solo il proprio tornaconto, senza tenere a mente che la somma di singoli interessi spesso produce, per sé e per gli altri, un risultato certamente diverso dal beneficio atteso. La pandemia ci ha portato un’Europa diversa e più solidale. Perché ha spezzato la linea compatta dei falchi nordici ed ha aperto ad un teorico periodo di spesa e debito condiviso.



La guerra ha aperto la riflessione sulla necessità di politiche comuni su difesa ed energia nel nostro continente, obbligandoci ad alzare la testa ed a occuparci di quel che accade attorno noi. Il successo di Draghi nel rispettare il cronoprogramma previsto dal Pnrr lo ha portato, fatalità, alla defenestrazione. Come gli insorti boemi del seicento, i senatori hanno lanciato fuori da Palazzo Madama Mario Draghi. Dimenticano che i defenestrati sopravvissero (nonostante la caduta) e che la Boemia (lo Stato che gli insorti volevano costruire) venne spazzata via senza troppe moine per sparire dalla storia. Il calcolo politico alla base del gesto, per una parte è la certezza dei sondaggi di avere una maggioranza di centrodestra, per l’altra la speranza dei social di avere un partito di eletti di Conte. Il resto di fedeli a Draghi, riottosi alla crisi, ne canterà le gesta in campagna elettorale e proverà ad unirsi nel suo nome per fare da argine a quelli che sono stati putiniani in diverse stagioni.



Ne verrà fuori un minestrone senza prospettive realmente politiche per nessuno dei contendenti, con toni che vireranno sull’esaltazione degli umori dei potenziali elettori, chiamati ad un atto di fede nei presunti leader, piuttosto che su scelte di fondo politiche. Il che ha senso, visto che chiunque vinca si troverà condizioni macroeconomiche peggiori di quelle che hanno motivato il governo Draghi con margini di manovra inesistenti. Con la novità della spinta inflazionistica, che a differenza di molti macro-numeri (debito pubblico, spread, rapporto deficit/Pil) da sempre indigesti al “popolo”, si traduce nella ben percepibile difficolta di andare avanti per le famiglie con la pasta che passa da 0,40 centesimi al pacco a 0,80 tutta assieme. Con una manovra economica da predisporre in poche settimane e le riforme del Pnrr (tutte parecchio impegnative a dir poco) da approvare entro fine anno per non rischiare di restituire quanto già ricevuto.



La colpa sarà di “chi ci ha preceduto” ed alla fine le scelte saranno obbligate. Cambieranno alcune facce, ma resteranno le divisioni territoriali tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese, i morti ammazzati della criminalità (un innocente trucidato solo ieri) e la violenza che ormai condisce i giorni di tanti ragazzi.

Insomma chiunque abbia fatto i conti su ciò che è il proprio interesse dovrà misurarsi con un contesto pre/post elettorale in grado di far deflagrare già nelle urne il progetto di gloria di prendere il potere o aumentare la rappresentanza per una o l’altra parte. Aver scaraventato Draghi dalla finestra in malo modo rischia di assomigliare ad un parricidio, con gli elettori indecisi tra i rei e gli orfani. Le promesse di ricchezza per tutti, di sgravi fiscali, di condoni e miracoli misti suoneranno farlocche al primo pieno di benzina o appena usciti dal “super” per la spesa settimanale.

La difesa strenua di corporazioni o dello status quo avrà come corollario l’affossamento del Pnrr e la perdita dei denari ricevuti e da ricevere. Il tradimento delle promesse rivoluzionarie del 2018 costerà caro agli agitprop populisti e gli orfani di Draghi, nel ruolo di vittime e vendicatori, porteranno al voto molti dei loro e questo, nel suo insieme, può portare ad un sostanziale pareggio elettorale con una riedizione di ammucchiate simili a quelli ben noti degli ultimi anni.

A quel punto servirà una guida autorevole, un Governo del Presidente, con una figura che, in un nuovo Parlamento con numeri minori e depurato per elisione da personalità inadeguate, proponga di riprendere l’unico cammino possibile. Quello intrapreso in questi ultimi mesi. Con i partiti ridotti nei ranghi, ognuno con la propria dose di responsabilità per ciò che è stato, Draghi potrebbe sorridere e vedersi richiamato (come Cincinnato) o vedere uno dei suoi chiamato a continuare il suo lavoro.

Se accadesse il Paese sarebbe più solido allora che oggi. E gli strateghi avrebbero portato al massacro se stessi per riconsegnarsi nelle mani di altri. E imparerebbero la lezione di Wundt, per il quale i fini che la storia realizza non sono quelli che gli individui o le comunità si propongono, ma piuttosto la risultante della combinazione, del rapporto e del contrasto delle volontà e delle condizioni oggettive.

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