Nel Bollettino economico della Bce viene ribadito quanto già evidenziato il mese scorso dalla Presidente Christine Lagarde: un’eventuale recessione nell’Eurozona “sarebbe relativamente breve e di lieve entità”. Goldman Sachs, martedì, si è spinta addirittura ad affermare, cambiando la propria precedente valutazione, che “non ci aspettiamo più una recessione tecnica” nell’Eurozona, che dovrebbe invece chiudere l’anno con una crescita dello 0,6%.



L’orizzonte economico si fa più rosa? «Immagino che il retropensiero di queste previsioni – ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – sia l’ammorbidirsi della situazione di conflitto in Ucraina. Tuttavia, se ci fosse al contrario un suo inasprimento ci sarebbe un impatto economico significativo, non solo per la Russia, dal punto di vista delle sanzioni, ma anche per noi, come stiamo vedendo proprio in questi giorni con il prezzo della benzina e del gasolio».



Sono previsioni probabilmente dovute anche all’andamento discendente dei prezzi energetici, che appaiono, però, molto volatili…

Esatto. C’è anche da dire che sono proiezioni per l’Eurozona, mentre per l’Italia temo non siano altrettanto positive, anche perché il controllo del disavanzo e del debito da parte del nostro Paese continua a essere sotto attenta osservazione.

Nel bollettino della Bce viene detto che “le misure di bilancio attuate a sostegno delle famiglie in risposta all’elevato livello delle quotazioni energetiche e dell’inflazione dovrebbero frenare l’incremento dei prezzi nel corso del 2023. Una volta revocate, tuttavia, l’inflazione riprenderà a salire”. Questo significa che una volta che si saranno esauriti a fine marzo i sostegni contro il caro bollette l’inflazione salirà nel nostro Paese e che il suo picco rischia di essere lontano?



Purtroppo è così. L’unica alternativa sarebbe uno scostamento di bilancio, ma non credo che né il Governo, né l’Europa siano così propensi ad aumentare deficit e debito. Un’altra strada è aumentare la pressione fiscale, ma è già piuttosto elevata. Lo scenario che si prospetta è quello di una riduzione della domanda italiana, e più in generale europea, in grado di alimentare un’ulteriore diminuzione del tasso di inflazione, la cui lenta e lunga discesa verso gli obiettivi della Bce e della Fed non porta con sé forti benefici immediati.

Gli ultimi dati disponibili sulle vendite al dettaglio, relativi al mese di novembre, mostrano una crescita in valore, ma una diminuzione in volume. Di fatto la domanda è già calata…

Sì. Immagino che verrà tentato ogni espediente per cerca di contenere i prezzi e mantenere un’apparenza di normalità, come per esempio confezioni con minori quantità di un bene. Il problema è che per i consumatori significa anche spostare le proprie scelte di acquisto verso prodotti di qualità inferiore perché meno costosi, e questo non sempre è un bene se pensiamo al cibo.

Permane il rischio di una stagflazione in Italia?

Non abbiamo visto in moto meccanismi di autoalimentazione prezzi-salari, ma c’è un limite anche a questo. C’è da temere che se il potere d’acquisto continuerà a scendere o a non risalire a un certo punto si arriverà a un limite una volta esaurito il risparmio accumulato negli anni scorsi.

Quindi, si arriverà a innescare una spirale prezzi-salari?

Dubito che ciò possa avvenire in Italia, ma potrebbe esserci un crollo della domanda e quindi, per tornare alla sua domanda di prima, il rischio di una mini-stagflazione. Il vero problema non è solo l’aumento dell’inflazione, ma il livello dei prezzi che nel frattempo si raggiunge rispetto a redditi che rimangono inchiodati.

L’Italia, in questa situazione, cosa deve fare?

Tutto quello che può fare per la crescita. Su questo fronte c’è il Pnrr: occorre spingere il più possibile per realizzarlo bene e nei tempi più rapidi. È l’unico strumento a portata di mano su cui possiamo fare conto per ottenere quella crescita necessaria per avere un minimo di respiro sul fronte dei conti pubblici e trovare in questo modo spazio per una politica fiscale magari non ultra espansiva, ma quanto meno non restrittiva.

Sul fronte europeo, intanto, la Spd del Cancelliere Scholz chiede all’Ue “nuovi strumenti finanziari comuni” per rispondere all’Inflation reduction act degli Stati Uniti che mette e rischio il sistema produttivo del Vecchio continente. Cosa ne pensa?

Ben venga una richiesta di questo genere da parte tedesca, ma il fattore tempo è cruciale. Abbiamo visto già in passato che tra le aperture e le decisioni operative europee possono trascorrere mesi, durante i quali la situazione rischia di deteriorarsi in maniera pericolosa.

(Lorenzo Torrisi)

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